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Discorso sugli Italiani: la nostra storia, le nostre domande, i nostri problemi

Ultimo Aggiornamento: 14/08/2007 18:47
07/08/2007 13:42
 
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Secondo i "Gesta Treverorum" Goffredo morì "avvelenato. Perciò i cardinali lasciarono la santa chiesa per molti giorni priva di un capo e come deserta, perché temevano una fine simile".

Questo accadde mentre l'esercito dell'imperatore Federico II, colpito da scomunica nel 1239, cingeva d'assedio Roma.



Credi che sia stato avvelenato da una delle spie di Federico? A me il sospetto viene. Io al posto suo avrei provato... [SM=g8166]. Pensa che soddisfazione ad eliminare un nemico così pericoloso come un papa... [SM=g8458].


Bag, sei incredibile!
Sono stata mezz'ora a ridere! (non per la morte di Federico! ma per le tue esternazioni!)



[SM=g9757] [SM=g9757] io sono triste sul serio. Ci vorrebbero uomini come Federico, nel mondo di oggi. I potenti di oggi, invece sono solo pieni di boria, ma quanto a qualità [SM=g8012].


Hai notato il susseguirsi delle faccine? Prima il re malato, poi il funerale e poi le faccine che piangono [SM=g8254]
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Re:
Bag End, 07/08/2007 13.42:


Secondo i "Gesta Treverorum" Goffredo morì "avvelenato. Perciò i cardinali lasciarono la santa chiesa per molti giorni priva di un capo e come deserta, perché temevano una fine simile".

Questo accadde mentre l'esercito dell'imperatore Federico II, colpito da scomunica nel 1239, cingeva d'assedio Roma.



Credi che sia stato avvelenato da una delle spie di Federico? A me il sospetto viene. Io al posto suo avrei provato... [SM=g8166]. Pensa che soddisfazione ad eliminare un nemico così pericoloso come un papa... [SM=g8458].


Bag, sei incredibile!
Sono stata mezz'ora a ridere! (non per la morte di Federico! ma per le tue esternazioni!)



[SM=g9757] [SM=g9757] io sono triste sul serio. Ci vorrebbero uomini come Federico, nel mondo di oggi. I potenti di oggi, invece sono solo pieni di boria, ma quanto a qualità [SM=g801


Hai notato il susseguirsi delle faccine? Prima il re malato, poi il funerale e poi le faccine che piangono [SM=g8254]



cara Simona , non credo ad una spia di Federico......Papa Luciani ti ricorda qualcosa?
Poi la sede papale dopo Goffredo rimase ferma per 2 anni. Penso quindi che volessero eleggere un Papa degno di contrastare Federico ed infatti, quando decisero fecero una scelta nefasta: Innocenzo IV.

Pensa: Federico iniziò con INNOCENZO III e morì con INNOCENZO IV. Che destino!
Adesso voglio inserire l'albero genealogico di Federico, ti sembra una buona idea?

p.s. dove hai preso quelle faccine che piangono?
mi piacciono molto!


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IMPERATORE DEL SACRO ROMANO IMPERO

GENITORI E DISCENDENTI DI FEDERICO II DI SVEVIA


Enrico VI sposa Costanza di Sicilia

figlio

FEDERICO II


MATRIMONI O UNIONI FIGLI


Costanza d'Aragona

.............................1. Enrico VII (1211 - 1242)


Isabella di Brienne

............................1. figlia sconosciuta , morta appena nata
(+ 1227)
............................2. Corrado IV di Germania (1228-1254)


Isabella d'Inghilterra

...........................1. Margherita di Sicilia (1237 - 1270)
...........................2. Enrico Carlotto di Sicilia (1238 - 1253)
...........................3. Federico di Sicilia (1239 - ?)
...........................4. figlia (1241 - 1241)


Bianca Lancia, o Lanza

...........................1.MANFREDI di Sicilia (1232 - 1266)
...........................2. Costanza (Anna) di Sicilia (1230 - 1307)
...........................3. Violante (1233 - 1264)

Adelaide di Urslinghen

...........................1. ENZO di Sardegna(1224 - 1272)
...........................2. Caterina da Marano (1226 - 1279)

Nome sconosciuto

...........................1. Selvaggia (+ 1244)

Richina di Wolfs'oden

...........................1. Margherita di Svevia (1227 - 1298)

Maria di Antiochia

...........................1. Federico di Antiochia (+ 1256)

Nome sconosciuto

...........................1. Riccardo di Chieti (+ 1249)

Nome sconosciuto

...........................1. Biancofiore (1226 - 1279)

Nome sconosciuto

...........................1. Gherardo

Nome sconosciuto

...........................1. Federico di Pettorana
[Modificato da silvanapat 08/08/2007 14:31]
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07/08/2007 23:10
 
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Re: Re:
silvanapat, 07/08/2007 14.00:



cara Simona , non credo ad una spia di Federico......Papa Luciani ti ricorda qualcosa?
Poi la sede papale dopo Goffredo rimase ferma per 2 anni. Penso quindi che volessero eleggere un Papa degno di contrastare Federico ed infatti, quando decisero fecero una scelta nefasta: Innocenzo IV.




Penso che è stato avvelenato, mentre Federico cercava di conquistare territori dello Stato Pontificio. Per due anni i cardinali sono stati incapaci di eleggere un altro papa, forse nessuno si sentiva all'altezza di combattere con un avversario così temibile. Ecco sembra che sia stato avvelenato al momento giusto.

Papa Luciani non me lo ricordo, per mia fortuna mi ricordo solo del polacco e del tedesco, ed è già abbastanza... [SM=g8286].

Ecco, adesso ti mostro a cosa ho lavorato tutto il giorno. Spero ti piaccia:
picasaweb.google.com/Picara74/FedericoIIDiSvevia
[SM=g9503] [SM=g9503] [SM=g9503] [SM=g9503] [SM=g9503]
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Re:
Kantarella, 08/08/2007 00.58:

[SM=g8890] [SM=g8916] [SM=g9984] [SM=g9984] [SM=g9984]




Ciao Kant,

scrivo anche per conto di Bag.
Siamo contente che il nostro studio/lavoro sia apprezzato!
Ci ha prese così tanto che non parliamo d'altro, anche in chat!

GRAZIE!!! [SM=g8861] [SM=g8861] [SM=g8861] [SM=g8861] [SM=g8861]


Silvana


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08/08/2007 06:30
 
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FIGLI DI FEDERICO II


ENRICO VII di HOHENSTAUFEN


Enrico VII era il primogenito di Federico II, nato dal matrimonio di questi con la prima moglie Costanza d’Aragona.

Nato nel 1211, fu nominato nel 1220, ancora bambino, re di Germania, alimentando la speranza di poter unire concretamente, alla morte del padre, i Regno di Germania con il Regno di Sicilia.

Raggiunta la maggiore età, fu per Federico una vera e propria spina nel fianco: il carattere indocile, le ambizioni, i cattivi consiglieri, lo indurranno ad una continua lotta familiare, che lo condurrà alla distruzione.

Enrico crebbe e maturò nell'ambiente dei ministeri imperiali di Germania, viziato dagli estranei ma senza conoscere l'affetto della famiglia sempre lontana, al seguito delle perenni missioni politiche e militari.

A questa circostanza — peraltro non nuova presso le dinastie imperiali — può forse essere ricondotto il rapporto conflittuale di amore - odio che ebbe con il padre, considerato un uomo eccezionale, mitico, irraggiungibile, ma lontano dalle legittime esigenze di un figlio.

Federico ed Enrico avevano un differente modo di vedere la gestione dello stato: il primo riteneva che dovesse andare ben oltre gli interessi nazionali ed assumere una dimensione sovranazionale, imperiale; il secondo, tendeva a favorire gli interessi germanici, nella convinzione che l’avvenire della dinastia fosse nella terra d’origine.

Nonostante i reiterati chiarimenti e le amorevoli raccomandazioni di Federico, la situazione condusse presto ad un doloroso scontro.

Enrico, influenzato dai prìncipi germanici e dalle città che tendevano a consolidare le proprie autonomie, contravvenne alle disposizioni imperiali e fu il protagonista di una vera e propria ribellione.
Dopo diverse insubordinazioni, fu costretto a presentarsi al cospetto di Federico II ad Aquilea nel maggio del 1232 e qui dovette impegnarsi ad eseguire a tutte le disposizioni imperiali.

Tornato in Germania, si comportò come se nulla fosse accaduto e riprese a spargere i semi della discordia; finché Papa Gregorio IX, i cui interessi nella circostanza coincidevano con quelli dell’Impero, nel 1234, gli lanciò l’anatema, giustificato con presunti atteggiamenti che infrangevano le leggi contro gli eretici.

Alla fine dello stesso 1246, Federico II apprese con costernazione che Enrico aveva niente meno che stipulato un'alleanza difensiva con la Lega Lombarda: i peggiori nemici dell’Impero e della Casa di Svevia!

Tutto ciò voleva dire alto tradimento: Enrico fu convocato senza indugio a Wimpfen, dove, dopo un sommario processo, fu deposto dal trono di Germania e condannato a morte. Solo in un secondo tempo Federico II — alla razionalità ed al dovere di Stato prevalse il cuore paterno — fece commutare la condanna in carcere a vita.

Enrico VII, rinchiuso in varie fortezze dell'Italia del Regno di Sicilia, iniziò una durissima prigionia.

La storia — che in queste circostanze è spesso inquinata dal mito — racconta che finì i suoi giorni suicida a soli aveva trentun anni, il 10 febbraio 1242 .

Quel giorno stava percorrendo una tortuosa strada di montagna, mentre era trasferito da Nicastro alla volta del castello di Martirano di Calabria: uno dei tanti cambi di prigione. Improvvisamente, sottraendosi alla vigilanza degli accompagnatori, si gettò dal cavallo sfracellandosi in un dirupo. I soccorritori lo raggiunsero già morto.

Federico diede ordine di seppellire il giovane figlio ribelle nel Duomo di Cosenza, avvolto in mantelli regali e con tutti gli onori. Un frate minore tenne l'orazione funebre commentando il versetto: "Abramo impugnò la spada per immolare il figlio a Dio".

L'ESPLORAZIONE DEL SARCOFAGO DI ENRICO VII DI HOHENSTAUFEN



Il giorno 4 novembre 1998, nel Duomo di Cosenza, un'équipe di paleopatologi del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Pisa guidata dal Prof. Gino Fornaciari ed affiancata dal Prof. Pietro De Leo del Dipartimento di Storia dell’Università della Calabria, ha proceduto all’esplorazione della tomba di Enrico VII.

Il magnifico sarcofago di marmo greco del III secolo, riutilizzato in epoca medievale, è istoriato magistralmente, in forma di bassorilievi, con il mito di Meleagro sulla caccia al cinghiale calidonio.



Duomo di Cosenza, Sarcofago di Enrico VII re di Germania.

Il sarcofago conteneva un unico scheletro in parziale connessione anatomica, incompleto ed alquanto frammentato, di un individuo di sesso maschile della statura di circa m 1.70 deceduto fra i trenta ed i quaranta anni di età.
Questo individuo era caratterizzato da un notevole spessore della teca cranica causata verosimilmente da iperostosi porotica; da forti attacchi muscolari e da un’usura dentaria marcata.
E’ stata rilevata un’importante asimmetria dell’inserzione del tendine rotuleo di destra con un forte ispessimento osseo da probabile zoppia. Questa osservazione è in armonia con le cronache dell’epoca che attribuiscono al sovrano il soprannome di "Enrico lo sciancato".

Il programma di ricerca prevede il restauro delle ossa che verrà effettuato dal Prof. Francesco Mallegni presso il laboratorio di Paleontologia Umana dell’Università di Pisa e che si occuperà anche dello studio antropologico.
Lo studio paleopatologico, che includerà lo studio radiologico completo, lo studio dei fattori di stress e lo studio paleonutrizionale, sarà svolto dal prof. Gino Fornaciari e dalla dr. Rosalba Ciranni.
Verranno tentate anche l’estrazione e l’amplificazione del DNA residuo rendendo possibile un confronto diretto, antropologico e molecolare, fra Enrico VII e il padre Federico II.

La ricerca è condotta nell’ambito di un progetto congiunto Regione-Unione Europea e finanziata con fondi P.O.P.


[Modificato da silvanapat 08/08/2007 06:33]
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08/08/2007 08:05
 
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CORRADO IV DI SVEVIA


Corrado visse la vicenda tormentata dell’uomo cresciuto all'ombra di un padre forte, autoritario, senza avere la possibilità di avere una vita propria, secondo le proprie attitudini.

Secondogenito di Federico II, nacque ad Andria nel 1228 dalla giovanissima Jolanda di Brienne, che l’Imperatore sposò senza amarla, solo perché gli recava in dote il titolo di re di Gerusalemme; e che morì solo dieci giorni dopo il parto.

Il padre si legò molto al figlio, vedendo in lui il proprio successore: per questo, cercò di impartirgli un’educazione rigida, finalizzata, degna di un imperatore.

Ma non tutti gli uomini accettano di essere predestinati ad un fulgido futuro.

Così, Corrado rifiutò la disciplina imposta dal ruolo, e si rivelò indisciplinato, privo di volontà. Il contatto ed il confronto con i fratellastri (figli bastardi dell'imperatore) che mostravano coraggio, intelligenza e amore per la poesia e le arti cavalleresche, voglia di affermarsi, gli inasprì il carattere rendendolo chiuso, diffidente e violento.

Federico non riuscì ad essere severo con lui; ma il ragazzo si rese conto della severità del padre quando questi operò la feroce repressione contro l’altro figlio Enrico, re di Germania, che gli si era ribellato.

Quando il fratellastro Manfredi gli comunicò la morte del padre avvenuta il 13 dicembre 1250, Corrado fu colto da una tempesta di sentimenti: dolore per la perdita di un punto di riferimento certo, senso di liberazione da un padre padrone che lo aveva vessato fin dall'infanzia, rabbia per non sentirsi all’altezza di una grave eredità...

Nei mesi successivi Corrado entrò in contesa con Guglielmo d'Olanda per la successione al trono imperiale, ma nessuno dei due fu eletto. Così, nel gennaio del 1252 scese in Puglia, sua terra natale, dove allontanò Manfredi e si fece incoronare re di Sicilia.

Qui cercò di rafforzare la sua posizione in Puglia e si riappropriò delle città di Capua e Napoli; quindi si oppose senza successo all’ostilità di papa Innocenzo IV, che lo scomunicò più volte.

Trascorrendo i mesi, gli anni, Corrado non riusciva ad ambientarsi nella terra che tanto aveva amato Federico. Il clima mediterraneo, nel quale peraltro era nato, non gli giovava, gli usi del posto gli erano estranei.

La sua vicenda umana si concluderà a Lavello il 21 maggio del 1254 colpito dalla stessa febbre intestinale che aveva ucciso il padre ed il nonno Enrico VI. Un altro perfido avvelenamento?

Lasciò erede il figlio Corradino (Corrado V che non divenne mai re) di 2 anni, affidandolo alla tutela del Papa INNOCENZO IV nel tentativo di placarne l'animostà.
Innocenzo IV muore e Corradino passa di mano ad ALESSANDRO IV che, pur mite di indole, necessariamente dovette continuare l'azione politica intrapresa dai suoi predecessori.

CORRADO IV fu sepolto a Messina nel 1254.



curiosità

Scoperto in Austria un carteggio inedito di Federico II ». di Marco Brando.

Erano conservati nella Biblioteca dell'Università di Innsbruck i circa 200 documenti che riguardano gli ultimi anni dell'imperatore Federico II (1194-1250) e i quattro anni di regno del figlio Corrado IV (1228-1254).
Scoperte dall'ex bibliotecario Walter Neuhauser e da Josef Riedmann, titolare della cattedra di Storia medievale, le carte provengono dal convento benedettino di Allerengelberg, che le custodì fino a due secoli fa.
Non sono originali, ma copie eseguite agli inizi del 1300 e raccolte sotto un titolo ( Notulae Rhetoricales Diversae) che forse lascia intendere che servirono come modelli stilistici, ma che certo non faceva capire la natura del contenuto.
Fra questi documenti, trenta sono lettere di Federico II, cento del figlio Corrado IV, le altre provengono da vari papi, da Giovanni re di Gerusalemme, dal Sultano d'Egitto e da altri potenti della metà del secolo XIII. Dell'edizione critica dei testi, tutti inediti, si occuperà l'istituto di Monaco che cura la pubblicazione dei Monumenta Historiae Germanicae.
Trattandosi di un personaggio (Federico II, nipote di Federico Barbarossa, imperatore del sacro Romano Impero, Re di Sicilia e Re di Germania) che da sempre ha affascinato gli storici, e di un periodo (le guerre contro i Comuni guelfi e il tramonto del partito ghibellino), l'interesse per questi documenti è comprensibilmente molto forte.
Ma che cosa contengono di nuovo queste lettere? Ci sono, cioè, elementi in grado di riscrivere la storia dei due imperatori?
«Per quanto riguarda Federico II — risponde il professor Riedmann — i documenti non modificano la sua immagine. Possono al massimo aggiungere qualche nota di colore.
Diverso invece è il discorso per suo figlio, Corrado IV. Infatti le carte ritrovate moltiplicano le informazioni sul suo breve regno in modo tale da ridisegnare la sua figura. In generale, dalle sue lettere si ricava l'impressione che Corrado abbia seguito in politica le orme del padre molto più di quanto si pensasse finora.

Oggi, così, ci appare molto ben inserito nel contesto internazionale, e collegato a una rete di relazioni diplomatiche che si estendeva dall'Inghilterra a tutta l'Europa continentale fino al Medio Oriente.

Emerge pure la volontà di Corrado IV di regolare, in ogni ambito, la vita quotidiana degli abitanti del suo regno di Sicilia: si preoccupa dell'allargamento di alcuni porti come Barletta e Salerno, della manutenzione dei ponti, perfino della costruzione di un mulino».

Resta comunque aperta la «questione Federico II», la cui figura e la cui opera hanno sempre appassionato gli storici, soprattutto quelli di area tedesca. «Per la letteratura tedesca su Federico II — spiega sempre Riedmann — occorre fare una distinzione: da una parte ci sono i "ritratti popolari", romanzati, che escono a cadenza regolare, uno quasi ogni cinque anni, dall'altra le opere strettamente scientifiche.

In entrambi i generi, comunque, continua ad avere una fondamentale importanza l'opera di Ernst Kantorowicz, pubblicata nel 1927 ( Federico II imperatore, in Italia è tradotto da Garzanti, ndr), che traccia un'immagine molto apologetica del sovrano.

In ambito scientifico, nel frattempo, il giudizio è divenuto molto più sobrio, per esempio nella biografia in due volumi di Wolfgang Stuerner (il primo volume, Federico II. Il potere regio in Sicilia e Germania. 1124-1220, è stato tradotto dall'editore De Luca, ndr), anche se le riserve e gli appunti di David Abulafia ( Federico II. Un imperatore medievale, Einaudi, ndr) non sono stati completamente recepiti».

Federico II, in Italia ma non solo, è stato considerato tradizionalmente un campione della tolleranza religiosa. E a questo proposito il professor Riedmann tiene a precisare: «Quello della tolleranza religiosa è un dato senz'altro da relativizzare. È vero che tollerava, anzi sosteneva sudditi musulmani a Lucera: questo suo atteggiamento, però, era dettato in primo luogo dalla contrapposizione al Papato.
Ma nei confronti degli eretici, sia da un punto di vista religioso che politico, Federico II non conosceva tolleranza alcuna».

Per alcuni studiosi italiani, il rapido declino della casa di Hohenstaufen viene visto come effetto di una politica sbagliata di Federico II (per troppo amore della Sicilia perse l'impero), mentre i suoi successori vengono considerati figure di nessuna rilevanza politica. Diversa è però l'opinione di Riedmann: «Ritengo invece che Federico II fu un sovrano molto importante, che lasciò un'eredità molto significativa. Se concentrò i suoi interessi nel Regno di Sicilia, fu perché là aveva possibilità di azione molto più ampie che non nell'Impero vero e proprio.
Che i suoi eredi non abbiano potuto proseguire la sua opera dipende, non certo in ultima misura, da fattori biologici». In che senso? «Nel senso che il figlio Corrado IV muore a soli 26 anni, lasciando un figlio, Corradino, di due anni (che per giunta era in Germania con la madre)». E Corradino, a soli 16 anni, catturato dagli Angioini, viene fatto decapitare a Napoli. E con lui si estingue la discendenza.

Proprio qui sta dunque, secondo lo storico tedesco, uno dei motivi principali della fine degli Hohenstaufen. Anche se poi lo stesso Riedmann aggiungere che comunque quegli eredi di Federico II «non seppero tenere nella giusta considerazione le nuove forze sociali ed economiche che si manifestavano nei Comuni. Inoltre (e questo riguarda soprattutto la Germania) l'Imperatore non trovò nessuno in grado di contrastare i monaci predicatori che svolgevano un'intensa opera di propaganda voluta dal Papa».

Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Terza Pagina - data: 2005-08-01 num: - pag: 27

Marco Brando:Il carteggio getta nuova luce sulla figura di Federico II

Corriere del Mezzogiorno - BARI -
sezione: 1A CULTURA - data: 2005-07-20 num: - pag: 11

[Modificato da silvanapat 08/08/2007 08:24]
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08/08/2007 10:54
 
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Nel 1237 l'imperatore, tornato dalla Germania con un forte esercito, cui si unirono i Saraceni di Lucera, e truppe fornite dai Comuni rimasti fedeli, affrontò la Lega lombarda. L'anno successivo inflisse una grave sconfitta a Cortenuova presso Bergamo. Commise l'errore di imporre condizioni di pace troppo dure, e ciò provocò la resistenza ad oltranza dei Comuni della Lega: Milano, Alessandria, Brescia, Piacenza, Bologna e Faenza. Erano incoraggiate dalla speranza che prima o poi Gregorio IX si sarebbe schierato dalla loro parte, il quale mostrava sempre di più segni di insofferenza verso il comportamento dell'imperatore, che non rispettava gli accordi presi a Ceprano ed aveva nominato suo figlio Enzo re di Sardegna, ignorando del tutto i diritti di sovranità che il papato rivendicava da tempo sull'isola.
Infatti Gregorio IX avviò un'intensissima attività diplomatica, per unificare tutti i nemici dell'imperatore e coalizzarli contro di lui. Nel 1239 arrivò un'altra scomunica contro Federico sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. Iniziava così la fase finale di una guerra destinata a diventare sempre più aspra, e che vide la morte del papa, sostituito da Innocenzo IV. Gli ultimi anni di vita di Federico furono terribili. Nel 1245 venne di nuovo scomunicato e dichiarato decaduto dalla dignità imperiale. Si impegnò freneticamente per contrastare i suoi nemici sia militarmente che ideologicamente, appellandosi ad altri sovrani europei,. Ad essi prospettava la pericolosità per il potere monarchico sia delle libertà comunali, sia delle pretese papali in ambito politico. Il papa a sua volta, scatenò una campagna denigratoria contro l'imperatore, additandolo come l'incarnazione dell'Anticristo e mobilitando contro di lui francescani e domenicani. Si formò così, intorno al sovrano, un clima di sospetto, di cui fece le spese il suo stretto collaboratore, Pier della Vigna, che, accusato di tradimento, si suicidò.
Il 13 dicembre 1250 Federico moriva all'età di 56 anni a Castel Fiorentino, presso Lucera. Fu' sepolto nel Duomo di Palermo, dove riposa tutt'ora accanto ai suoi genitori Enrico VI e Costanza d'Altavilla.


Il Sacro Romano Impero di Federico II di Svevia


Il Regno di Gerusalemme


Il francobollo commemorativo:



Federico, in tutta la sua bellezza ed il falcone [SM=g9503]
[Modificato da Bag End 08/08/2007 15:34]
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Bag e Silvanapat, se guardate qui:

www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/brindisi/provincia.htm

trovate la miriade di castelli, torri e costruzioni federiciane presenti in Brindisi ( [SM=g9430] ) e provincia.
Sono fiera della storia della mia regione, così particolare, e mi spiace sempre per il fatto che, per gli stranieri, ci siano solo Roma, Firenze, Venezia e Napoli, pur avendone una grande ammirazione, intendiamoci.
[SM=g9481]
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milla04, 08/08/2007 11.11:

Bag e Silvanapat, se guardate qui:

www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/brindisi/provincia.htm

trovate la miriade di castelli, torri e costruzioni federiciane presenti in Brindisi ( [SM=g9430] ) e provincia.
Sono fiera della storia della mia regione, così particolare, e mi spiace sempre per il fatto che, per gli stranieri, ci siano solo Roma, Firenze, Venezia e Napoli, pur avendone una grande ammirazione, intendiamoci.
[SM=g9481]




Grazie Milla [SM=g9481].
Sai, il problema dei turisti europei che vengono in Italia (in macchina, o in treno), è che il sud non esiste: mal collegato, troppo lontano. Se vengono in aereo temo sia la stessa cosa. Quanti aeroporti ci sono in Puglia? Attrezzati per ricevere voli da altre città europee, intendo. I tedeschi, per esempio, si fermano sulla riviera romagnola, perchè più vicina. Molti non conoscono la bellezza del sud Italia, o magari, avendo solo una settimana di ferie, si fermano il più vicino possibile. Ed i tedeschi adorano l'Italia, da sempre e per sempre. Il giorno che ci saranno collegamenti veloci e non troppo costosi per la Puglia, vedrai quanti ne verranno.
Gli italiani ci vengono in Puglia. Ho un sacco di amici che vengono li al mare, soprattutto Vieste e zone limitrofe. Io sono stata a Bari e provincia negli anni '90; Polignano a Mare, li era il mio albergo, a strapiombo sul mare: strepitoso, e nel 2000 tre giorni a Lecce. Lecce mi è piaciuta molto, di Bari invece ricordo solo il Duomo ed il porto. Una notte siamo andati fino a Taranto, perchè io volevo vederla. Di notte ricordo solo il porto, e la sensazione di mancanza di sicurezza.
Ricordo pure un piccolo ristorante dove siamo stati una sera, dove per poche lire ci hanno riempito di squisitezze fatte in casa. Il tavolo era così pieno di piatti che il cestino del pane lo tenevo io sulle mie gambe [SM=g8957]. Conto di tornare al più presto per visitare i luoghi in cui è vissuto Friederich II von Hohenstaufen [SM=g9503].
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In raltà in calabria è pieno di tedeschi, e ce ne sono relativamente parecchi pure in costiera amalfitana/sorrentina, il problema della puglia è che la regione dovrebbe spingere molto di più il binomio mare/arte.. secondo me.

Luk.
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Sembra impossibile
che segua ancora te,
questa è una malattia
che non va più via
Vorrei andar via
Vorrei andar via di qua,
ma non resisto
lontano da te
08/08/2007 11:56
 
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In entrambi i generi, comunque, continua ad avere una fondamentale importanza l'opera di Ernst Kantorowicz, pubblicata nel 1927 ( Federico II imperatore, in Italia è tradotto da Garzanti, ndr), che traccia un'immagine molto apologetica del sovrano.



Silvana mi sa che il libro che hai tu è questo. E' quello che ti dicevo io ieri o ieri l'altro:


Ho trovato anche questo:
Federico II il potere regio in Sicilia e in Germania di Sturner Wolfgang, ma non ho trovato la copertina. Mi ispirano...

Mi sa che oggi li vado a cercare, qui vicino casa c'è una libreria abbastanza fornita [SM=g8957]!
[Modificato da Bag End 08/08/2007 12:05]
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Re:
rootfellas, 08/08/2007 11.55:

In raltà in calabria è pieno di tedeschi, e ce ne sono relativamente parecchi pure in costiera amalfitana/sorrentina, il problema della puglia è che la regione dovrebbe spingere molto di più il binomio mare/arte.. secondo me.

Luk.




Root! Ma allora lo leggi questo topo... [SM=g8800] [SM=g8228]
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Re: Re:
silvanapat, 07/08/2007 14.00:

p.s. dove hai preso quelle faccine che piangono?
mi piacciono molto!



Le ho prese tramite una funzione di firefox. Se usi explorer non le puoi avere temo. A meno che non le trovi on line.


Molte le prendo qui:
www.vocinelweb.it/faccine/
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La vita di Manfredi è ricca di avvenimenti che hanno condizionato vari secoli di vita italiana.

Federico II aveva una particolare predilezione per Manfredi: perché è figlio di Bianca Lancia, il suo unico vero amore; perché vede in lui l’erede dello spirito battagliero, indomito, tipico degli Svevi; perché dimostra di avere le sue stesse passioni.

Eppure, Manfredi ha una vita discussa, con atteggiamenti a volte contraddittori, che lo fanno un personaggio fra i più interessanti del suo secolo.

In realtà, se l’Impero medievale tramonta con Federico II, Manfredi è il protagonista di questa crisi, l’uomo che per primo sconta l’invettiva di Innocenzo IV: "Estirpare il nome di questo babilonese e quanto di lui possa rimanere, dei suoi discendenti, del suo seme".

Manfredi nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV — il primogenito figlio di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in Germania. Questa decisione lo inimica subito al Papa, che avrebbe voluto liberamente disporre dell’intero patrimonio svevo.

Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni.

Ma quando Corrado, nell’agosto del 1252, sbarca a Siponto e giunge nella Puglia per prendere possesso dei suoi territori dimostra di non avere il talento e le virtù paterne e di non poter reggere il confronto con Manfredi che, essendo figlio naturale, deve ridursi al semplice rango di vassallo.
Fra i due corrono dissapori, invidie, rivalità finché nel 1254 Corrado muore per cause che sollevano non pochi dubbi. Fratricidio? Non si saprà mai, né sono affidabili le sole illazioni dei cronisti guelfi.

Diventato di fatto capo della Casa di Svevia, Manfredi si trova a tu per tu con Innocenzo IV, determinato a disfarsi dell’incomoda dinastia imperiale. Un tentativo di rappacificazione fallisce nel luglio del 1254, mentre il successivo 12 settembre Manfredi è colpito da anatema.

Di fronte alla possibilità di uno scontro cruento al quale nessuno era preparato, si giunge rapidamente ad un accordo.

Accanto alla revoca della scomunica, Manfredi riceve dalla mani del Papa feudi e principati, una rendita di ottomila once d’oro, e soprattutto la nomina a vicario per la maggior parte dei territori continentali del Meridione, in cambio del riconoscimento dell’autorità papale sul Regno di Sicilia.

Ma lo Svevo non demorde: all’inizio di dicembre organizza una rivolta in Puglia riuscendo a conquistare Lucera ed a battere l’esercito pontificio. E’ l’ultimo atto del confronto con Innocenzo IV, che rende l’anima a Dio il 7 dicembre 1254.

Da quel momento, forte della posizione acquisita con la diplomazia e con le armi, Manfredi vuol trarre il massimo profitto dalla elezione al soglio di Alessandro IV, un uomo che, almeno all’apparenza, si presenta debole ed indeciso e si dedica alla conquista del Regno che comporta una lotta lunga e complessa.

Sul piano militare il conflitto si inasprisce in Puglia; ma è fondamentale provvedere in tempi brevi all’occupazione del trono di Sicilia, che Manfredi ritiene un patrimonio svevo ereditato dai Normanni e destinato a Corradino, legittimo successore del defunto Corrado.

Così, il 10 agosto 1258, dopo aver allontanato il reggente Bertoldo di Hohenburg — un fedele di Federico II passato ad infoltire le file papaline — si fa incoronare nella cattedrale di Palermo tra le feste della popolazione.

Alessandro IV dichiara nulla l’incoronazione, mentre è dalla Germania, la madre di Corradino, l’erede legittimo di Corrado IV, insorge. Ma a Manfredi non è difficile spiegare il proprio operato, che si era reso necessario per salvare il Regno dallo sfacelo.

Da quel momento, Palermo tornava ad essere la capitale del più bel Regno d’Europa.

Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato.

Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma senza cercare la guerra.

Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se non avrà il tempo di raccoglierne i frutti.

Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la barba fini… si svolge in un clima di gioioso, ricco di donne belle e raffinate; cose queste che consentono alla propaganda guelfa di alimentare dicerie ed accuse di corruzione.

Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia.

Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che rasenta il fanatismo;
è a corrompere con il denaro i governanti che non condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I.

http://www.stupormundi.it/images/d'angi%F2.jpgCarlo d'Angiò

Alle strette, Manfredi si rivolge agli alleati ormai ridotti di numero. In questi appelli vi è tutta la dignità di un sovrano che non considera il nemico degno di sé. Essi esprimono l’illusione di un intellettuale, destinata ad essere soffocata dalla forza brutale.

Carlo I valica le Alpi al Colle di Tenda alla fine del 1265. Con un esercito di almeno 30.000 uomini, inizia a spargere il terrore nelle campagne e riduce la resistenza nelle roccaforti ghibelline.

Il 6 gennaio 1266 è incoronato a Roma, in assenza del Papa, cosa questa che prova il declino della Sede Apostolica. Il 20 gennaio Carlo I riparte da Roma e supera i confini del Regno attraversando il fiume Liri. Dopo varie scaramucce, lo scontro campale avviene a Benevento.

Il mattino del 26 febbraio, seguendo il consiglio di un astrologo, Manfredi decide l’attacco. Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte.

Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più favorevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che combattono al grido di "Svevia!". Deciso a gettarsi nella mischia, si sta vestendo l’armatura, quando l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. "Ecco la volontà di Dio" mormora: è il segno della fine. La giornata si conclude con un massacro e Carlo I resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo.

Una volta riconosciuto, il suo corpo smembrato fu seppellito sul campo di battaglia sotto un mucchio di pietre.
Ma la località era sotto il dominio della Chiesa e quindi non poteva custodire i resti di uno scomunicato.
Fu pertanto dato mandato all'arcivescovo di Cosenza di disseppellire i resti: la sua tomba fu violata ed il corpo riesumato fu deposto, quale SCOMUNICATO, fuori dai confini dello stato della Chiesa.

Era il tramonto del 12 febbraio 1266.

La propaganda guelfa e papalina ha per secoli accusato Manfredi di aver usurpato il trono del nipote Corradino. Se questo fatto può avere qualche fondamento storico, non si vede come l’accusa possa essere lanciata da un pulpito che ha imposto l’occupazione angioina di Carlo I, avviando una dominazione straniera indubbiamente più odiosa e retriva di quella Sveva.

In seguito a questi eventi tutto il progetto di Federico II sul meridione crollò: Carlo d'Angiò si impadronì di quest'area e vi insediò dei funzionari francesi, trasferendo la capitale da PALERMO a NAPOLI.



continua...................
[Modificato da silvanapat 08/08/2007 20:59]
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curiosita'


Le diatribe medievali non abbandonano Federico II sette secoli e mezzo dopo la sua morte

In occasione dell’apertura del suo sepolcro avvenuta il 2 novembre 1998, sono tornate alla ribalta le polemiche sulla estinzione della dinastia sveva. In estrema sintesi si può dire che esistono due distinte versioni:

- una ghibellina, più accomodante e tradizionalista, tesa a gettare sospetti e colpe sui pontefici;

- una guelfa, tesa soprattutto a colpevolizzare gli eredi dell’imperatore.


LA VERSIONE GHIBELLINA

. . . . . . Nel 1250 Federico II era alloggiato nel palazzo imperiale di Foggia. La sua attività politica era volta a cercare alleanze per riproporre guerra diplomatica e militare ad Innocenzo IV ancora in esilio a Lione. Sul piano familiare aveva provveduto a sposare Bianca Lancia che gli aveva dato Manfredi, il figlio che più gli somigliava caratterialmente; in tal modo non sarebbe stato difficile coinvolgerlo nella successione ed ottenere la sua collaborazione ne passaggio delle consegne. Nel contempo non rinunciava a ricrearsi dedicandosi agli sport preferiti.

All’inizio di dicembre, durante una battuta di caccia nelle campagne della Capitanata, fu colto da violenti dolori addominali, simili a quelli — a detta dei medici — che quarantotto anni prima avevano accompagnato la morte del padre Enrico VI. Immediatamente soccorso, fu trasportato nel castello di Fiorentino: lì ebbe solo il tempo di confermare le disposizioni testamentarie e terminò i suoi giorni il 13 dicembre.

Le sua ultime volontà assegnavano l’ambìto Regno di Sicilia a Corrado, IV della dinastia, il figlio che aveva avuto da Isabella di Gerusalemme; in sua assenza, Manfredi doveva regnare in qualità di vicario.

I rapporti di Corrado con Manfredi parvero subito corretti, non conflittuali, ottima premessa per una proficua collaborazione. Ma giunto nel Meridione d’Italia Corrado IV accusò una situazione di grave, crescente disagio, dato che alle previste difficoltà politiche si aggiunsero problemi di adattamento al clima ed alle abitudini mediterranee. Così iniziò a deperire lentamente, morendo nel 1254 a solo 26 anni. A lui subentrerà il fratellastro Manfredi.

I decessi di Federico II e di Corrado IV non lasciarono indifferenti i cronisti di parte ghibellina. La morte dell’imperatore rapida, priva di una diagnosi convincente, consentì di ipotizzare una trama guelfa: in fondo il papa aveva ampiamente dimostrato di essere determinato al delitto già nella congiura del 1246. In merito a Corrado, nessuno se le sentiva credere in un disagio fisico proprio in Puglia, nella terra che gli aveva dato i natali. Ma l’intervento rassicurante di Manfredi fu sufficiente a sopire ogni dubbio; a tranquillizzare la Corte, gli eredi, il popolo, le nazioni alleate.

A VERSIONE GUELFA

. . . . . . Nel 1250 Federico II, rifugiatosi nella domus di Fiorentino dopo la sconfitta di Parma del 1248, vedeva ridursi le possibilità di rivincita nel confronti del pontefice. Era stanco e demotivato; ma ben più grave era lo stato di conflitto con Manfredi, il figlio che aveva avuto con l’amante Bianca Lancia. Per ridurre i motivi contrasto decise di sposare regolarmente la donna: cosa questa che gli avrebbe consentito di legare a Manfredi il Ducato di Taranto e di affidargli la reggenza del Regno di Sicilia in attesa dell’arrivo del legittimo erede Corrado, figlio di Isabella di Brienne.

In questa situazione, Manfredi decise di accelerare la successione per approfittare delle opportunità che gli derivavano dall’assenza di Corrado impegnato in Germania; e decise di uccidere il padre. Ottenuta la connivenza del cuoco di Corte, gli fece somministrare quotidianamente leggere dosi di arsenico predisposte dal cardinale Ugo Borgognone: si preparava una morte lentissima, che non avrebbe insospettito alcuno e superato i consueti "assaggi" dei servitori saraceni.
Ma il progetto rischiava di protrarsi troppo a lungo: Federico, intuita la possibilità di una congiura, aveva iniziato una dieta preparata da un fedelissimo a base di frutta cotta e disertava tutti i banchetti. Finché Manfredi decise di eliminare il padre direttamente, senza troppi complimenti, soffocandolo con un cuscino: e lo fece in modo talmente maldestro da provocargli la lesione del setto nasale.

Quando Corrado raggiunse il Regno di Sicilia, Manfredi non si scompose, limitandosi a rispolverare la "dieta" suggerita dal cardinale Ugo Borgognone.



Dalla Cronica del Villani, Manfredi che soffoca il padre.



Questa volta il piano ebbe il successo desiderato: il giovane principe aveva una resistenza fisica nemmeno paragonabile a quella del padre, e per giunta non fu difficile giustificare le conseguenze dell’arsenico con quelle di un generico disadattamento all’ambiente mediterraneo.

Si dice che "il diavolo fa le pentole ma non i coperchi". Già immediatamente dopo la morte di Federico iniziarono a circolare iconografie guelfe che ritraevano Manfredi nell’atto di soffocare il padre, mentre riguardo la morte di Corrado fra’ Salimbene iniziò a parlare di un "clistere avvelenato".

E ALLORA?

Dopo 750 anni i decessi di Federico II e di Corrado IV — che sono alla base dell’estinzione della dinastia sveva — fanno ancora discutere. Ma al di là delle labili fonti scritte del tempo, ora la verità dovrebbe essere vicina (vedi Palermo: nuova riapertura del Sarcofago di Federico II ).

La speranza è che la recente riapertura del sarcofago di Federico II possa consentire le analisi di laboratorio in grado di accertare soprattutto se lo " Stupor Mundi" morì davvero con il veleno nel corpo. È noto che l’arsenico lascia tracce assolutamente indelebili, a prova dei secoli.









IL DNA DI FEDERICO II

Gino Fornaciari
Divisione di Paleopatologia
Università di Pisa



Mi ha fatto molto piacere l’interesse che si è sollevato per i mancati risultati dello studio del DNA di Federico II.

Ma il DNA non è tutto!

Occorre precisare che una mummia, uno scheletro, un osso umano non sono altro che archivi biologici di informazioni sull’epoca in cui erano immersi. La mummia che, in quanto tale, conserva ancora i tessuti molli, è semplicemente un archivio biologico più ricco di dati di uno scheletro o di un osso umano.


Il DNA, che fra l’altro si ritrova anche nell’osso, costituisce solo una parte modesta, anche se importante, di questo archivio di dati biologici (morfologici, istologici, biochimici ecc.).

La mummia di Federico II è importante perché, oltre a queste informazioni generali, può fornire dati diretti proprio su di lui, un personaggio chiave del Medioevo. In altri termini, anche i suoi "raffreddori" potrebbero essere interessanti!

Per quanto riguarda il progetto di Palermo del 1998, DNA a parte, c’è da chiedersi se allora si intendeva veramente studiare, dal punto di vista paleobiologico, il corpo di Federico II!

Probabilmente no, altrimenti le condizioni per un buon studio paleopatologico c’erano tutte (apertura del sarcofago, "camera bianca", disponibilità di antropologi, paleopatologi, paleobiologi molecolari ecc.).

Occorreva semplicemente, sia pure con tutte le precauzioni possibili, rimuovere i corpi dal sarcofago (anche la mummia di Pietro III d’Aragona è interessante!) e studiarli utilizzando le moderne tecnologie biomediche (endoscopia, TAC, istologia ecc. e anche biologia molecolare). Il che non è avvenuto!

L’intervento si è limitato ad una disinfestazione e ad un semplice rilievo fotogrammetrico, anche se accurato. E’ stata scattata anche qualche radiografia con un apparecchio radiologico portatile (c’è da chiedersi, a questo proposito, se i telai delle lastre radiografiche sono stati inseriti sotto i corpi alla cieca!). Altri studi, come ad esempio quello entomologico, sono certamente interessanti ma di settore.

Si è trattato, nonostante i trionfalismi dei media e purtroppo anche di qualche specialista, di un intervento molto limitato, finalizzato soprattutto ad arrestare il degrado dei corpi mummificati.

A meno che l’intenzione non fosse semplicemente quella di "non volere turbare il sonno dell’imperatore", nel qual caso dovrei cambiare mestiere!

Se, come mi auguro, le cose non stanno così, una nuova riapertura del sarcofago di Federico II, allo scopo di promuovere un nuovo e completo studio paleobiologico dei tre corpi, è possibile in qualsiasi momento.

Basterà alzare la lastra di copertura e la raccolta dei dati potrà essere effettuata sul posto con apparecchiature portatili e con dispiego di mezzi modesti, come il mio laboratorio ha avuto modo di sperimentare in passato almeno una ventina di volte (da Gregorio VII a Cangrande della Scala!).

Altrimenti vorrà dire proprio che le celebrazioni sono ormai concluse, la pubblicità è stata ottenuta e che un vero studio paleopatologico dell'imperatore svevo non è mai interessato a nessuno!
[Modificato da silvanapat 09/08/2007 21:39]
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Sarò una romanticona, ma dubito fortemente che Manfredi sia stato l'assassino del padre e del fratello. Tuttavia, non avendo la sfera di cristallo, rimango con i miei dubbi.

Manfredi ed il fratellastro Enzo, erano i due figli prediletti di Federico.
Quando Federico morì, Manfredi divenne capo della fazione ghibellina e continuò l'opera del padre assicurando stabilità e benessere al meridione ed alla Sicilia in particolare, divenuta di nuovo il centro delle attività.

Rifioriscono i commerci, grazie ai trattati con Venezia e Genova e si susseguono numerose iniziative come la costruzione del molo di SALERNO, il rilancio dell'UNIVERSITA' di Salerno e di Napoli, la fondazione di una città nel Gargano che prende il suo nome: MANFREDONIA.

La corte di Palermo rivive gli splendori e la vivacità del tempo di Federico.



Dante Alighieri per fedeltà all’impero, lo pose nella sua Commedia al purgatorio, nella cornice destinata ai buoni cristiani morti senza aver avuto il tempo di pentirsi.
Nella sua Divina Commedia incontra lo spirito di Manfredi nel canto III, ai versi 103-145, tra coloro che si sono pentiti in punto di morte.

« ....
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
...
Poi sorridendo disse: < nepote di Costanza imperatrice;
.... »

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Purg. c. III, v. 103-145)




[Modificato da silvanapat 08/08/2007 21:04]
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curiosità



[il Fieramosca]

PROCESSO A RE MANFREDI
Organizzato dai Club Rotariani di Canosa, Trani e Andria e celebrato nella Sala Rossa del Castello di Barletta

Organizzato dai Club rotariani di Canosa, Trani e Andria, si è celebrato, nella Sala Rossa del Castello di Barletta, un Processo a re Manfredi, accusato di veneficio nei confronti di Corrado, l’imperatore figlio di Federico II e suo fratellastro: infatti Corrado era figlio di Iolanda di Brienne, morta di parto ad Andria a fine aprile 1228, negli stessi giorni nei quali a pochi chilometri di distanza, l’imperatore nel castello di Barletta, organizzava la VI Crociata in Terrasanta.

Manfredi era invece figlio di Bianca Lancia d’Agliano, la consorte italiana di Federico, l’unica donna che si dice l’imperatore abbia veramente amato.

E ora due parole introduttive per inquadrare la prospettazione processuale. Dopo la morte del padre, nel dicembre del 1250, da questi designato luogotenente generale del Regno, Manfredi, ad appena diciotto anni, fronteggiò la sedizione dei Comuni pugliesi che, disorientati dalla prematura scomparsa del sovrano, per la più gran parte erano passati dalla parte del Papa. Dopo una dura lotta, Manfredi riuscì a riportare sotto i vessilli della Casa sveva quasi tutti i comuni pugliesi perduti.

Quando Corrado mise piede in Puglia, all’inizio del 1251, togliendo la luogotenenza generale del Regno a Manfredi, i rapporti fra i due fratellastri s’inasprirono, perché il nuovo imperatore, geloso dei successi del fratello, cominciò a fargli terra bruciata attorno, allontanando dalla corte molti membri della sua famiglia, il potente clan dei Lancia.

Quando poi Corrado fece uccidere l’altro fratello Carlotto (figlio di Isabella d’Inghilterra), Manfredi, temendo per la sua vita, “pare” che abbia a sua volta fatto avvelenare Corrado. “Pare”, perché, sulla vicenda la storiografia ufficiale è ancora divisa fra innocentisti e colpevolisti.
Di qui il processo “a porte aperte”, che si è celebrato nella Sala Rossa del castello, luogo quanto mai indovinato, visto che Manfredi ci passò così lungo tempo, dal 2 dicembre 1259 all’autunno del 1261 (i luoghi della sua permanenza erano il palatium federiciano, oggi adibito a Biblioteca Comunale).

Dopo una circostanziata relazione storica introduttiva, nella quale il dott. Renato Russo ha delineato il personaggio, inquadrandolo nel contesto storico del suo tempo, hanno svolto le loro arringhe, per l’accusa il dott. Nicola Barbera Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, per la difesa l’avv. Arcangelo Cafiero, del Foro di Trani e - come organo giudicante - il dott. Antonio Lovecchio coordinatore dell’Ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Trani.

L’episodio della morte di Corrado, apparentemente lineare, a scandagliarlo più in profondità, presenta invece tutti i contorni tipici del più classico dei gialli. Il giovane imperatore, dai primi di maggio a Lavello, dove aveva raccolto un poderoso esercito per fronteggiare le truppe pontificie, dopo una breve malattia, muore di dissenteria, secondo il referto medico stilato da Giovanni da Procida, cioè della stessa malattia della quale era morto suo padre Federico quattro anni prima (1250) e suo nonno Enrico cinquantasette anni prima (1197).

Nel dicembre del 1253, qualche mese prima, Corrado aveva ordinato l’assassinio del fratellastro Carlotto figlio di Isabella d’Inghilterra. Temeva infatti che gli ottimi rapporti fra la casa inglese e il Papa, inducessero quest’ultimo a firmare un accordo, previo il matrimonio di una nipote del Papa col giovane figlio d’Isabella.

Frattanto implacabile era continuata l’opera di progressiva emarginazione di Manfredi e del suo entourage per cui, è vero che Corrado s’era ammalato di dissenteria e che il male aveva raggiunto un grado di gravità difficilmente superabile, ma può anche essere che Manfredi, di fronte all’acuirsi del male, abbia deciso di affrettare la fine del perfido fratellastro, mettendosi al sicuro da ogni possibile - per quanto forse improbabile - ripresa.

A distanza di 850 anni, chi può dire come siano andate veramente le cose? Tutto dipende allora dalla prospettazione dell’accusa e della difesa, la prima sostenuta a spada tratta dai fautori della Casa sveva, e quindi dai ghibellini filoimperiali, e la seconda dai denigratori degli Hoestaufen, e quindi dai guelfi filopontifici.
Fatti, circostanze, diagnosi mediche, voci tendenziose propalate ora dall’una ora dall’altra parte.

Argomentazioni accusatorie oggi sostenute con lucida analisi dei fatti concomitanti all’episodio della morte, dal Procuratore della Repubblica dott. Barbera, ragioni della difesa sostenute con impeto dall’appassionata arringa difensiva dell’avv. Arcangelo Cafiero.

A sintetizzare le ragioni dell’accusa e della difesa, la lucida, stringata, argomentata motivazione dell’organo giudicante, dott. Antonio Lovecchio, che pur accogliendo in parte le motivazioni accusatorie, ha ritenuto però che alla fine dovessero prevalere le ragioni difensive, concludendo per l’innocenza del regio imputato.


Manfredi a Barletta

Manfredi ebbe un intenso e piacevole rapporto con la città di Barletta. Racconta Matteo Spinelli: Lo Re la notte esceva pe’ Barletta, cantando strambotti e canzuni e iva pigliando lo frisco e con isso ivano dui musici siciliani, che erano gran romanzaturi.
E Giuseppe Aurelio Lancia: Per lungo tempo tenne Manfredi corte bandita in Barletta, dove sì magnanimo e generoso principe mostrossi, dispensando feudi, armando cavalieri, perdonando ai colpevoli, premiando i buoni, facendo rispettare le leggi e promuovendo le lettere, che in breve tempo, e senza sforzo conciliossi gli animi dei più schivi e permalosi Baroni pria avversi alla Casa di Svevia.

Giustamente per le virtù sue pregiato, e sinceramente per la grazia della sua persona, per la leggiadria dei modi, per la gentilezza dell’anima era dai popoli amato Manfredi.

Il primo incontro con la città Manfredi l’ebbe il 18 ottobre del 1250, due mesi prima della morte del padre.
Inviato dall’augusto genitore a Barletta per dirimere una controversia fra Saraceni abusivi occupatori di suolo pubblico e commercianti del posto, dopo aver convocato le parti, impose al Comune e ai commercianti di pagare 1000 augustali a testa per indennizzare i Saraceni e indurli a spostarsi a Lavello. Dei 2000 ducati, tuttavia, ne trattenne la metà a titolo d’imposta per il Regio erario.

Altri e più significativi episodi che ne legano il ricordo alla nostra città si ricordano in seguito alla sua incoronazione, nell’agosto del 1258, a re di Sicilia. Fra i primi atti del suo governo ci fu quello di riconfermare alla chiesa di S. Maria di Barletta la Fiera dell’Assunta, ripristinando una liberalità del padre, interrotta per lunghi anni. A partire dall’anno dopo, dal 2 dicembre 1259 all’autunno del 1261, tenne corte a Barletta, nel castello (l’ala est, cioè il palatium federiciano, oggi occupato dalla Biblioteca comunale) dove trasferì gli uffici amministrativi della Curia e soprattutto la sua splendida corte.

E fu qui, nella reggia castellare, nel grande salone di rappresentanza, ch’egli ricevette numerose ambascerie, fra le quali la delegazione mandata da Elisabetta di Baviera (vedova di Corrado) per rivendicare il trono per il figlio Corradino; fu qui che ospitò Baldovino, l’imperatore di Costantinopoli appena deposto e che accolse le delegazioni di altri stati europei, ma anche orientali, come quella araba, inviatagli dal gran sultano Bairbas nell’agosto 1261.
Racconta il cronista: liete le feste furon di danze splendide, nelle quali di dame bellissime era tal copia che dir non sapeva Manfredi quali di tante fosser le più piacenti.

Racconta Sabino Loffredo: Per lungo tempo tenne Manfredi corte nel castello di Barletta dove sì magnanimo e generoso principe mostrossi, dispensando feudi, armando cavalieri, perdonando ai colpevoli, premiando i buoni, facendo rispettar le leggi, e promuovendo le letture, che in breve tempo e senza sforzo, conciliossi gli animi dei più schivi e permalosi baroni pria avversi alla Casa di Svevia.

Anche Manfredi, come il padre, teneva dunque una splendida corte a Barletta dove alternava gli impegni di governo con incontri dedicati all’arte, alle scienze, alla filosofia, alla letteratura, alla poesia ma anche alla introduzione della nuova lingua italiana, il volgare. È lo stesso Dante a dargliene atto nel De vulgari eloquentia ed è ancora di Dante il bellissimo verso con cui lo ha immortalato nel III Canto del Purgatorio: biondo era e bello e di gentile aspetto…

Ma accanto al Manfredi uomo d’arte e di cultura, c’era anche il sovrano che perseguiva lo stesso disegno del padre, la riunificazione territoriale dell’Italia, così, sul finire dell’estate del 1260, ancora una volta dal nostro Castello, dispose l’invio di 800 cavalieri in Toscana che saranno determinanti, a Montaperti, per una clamorosa vittoria dei ghibellini toscani contro i guelfi fiorentini.

Fu però una vittoria effimera, perché il papato era troppo forte e s’adoperò per la rovina del giovane sovrano, come aveva già fatto col padre, col grande imperatore.

Manfredi, perseguitato dal Papa e abbandonato dai baroni, andò incontro al suo funesto destino, sulla piana di Benevento, il 26 febbraio del 1266. Morì eroicamente sul campo di battaglia. Aveva appena 36 anni.

Paola Russo (Febbraio 2004)

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silvanapat, 08/08/2007 19.44:


Sarò una romanticona, ma dubito fortemente che Manfredi sia stato l'assassino del padre e del fratello. Tuttavia, non avendo la sfera di cristallo, rimango con i miei dubbi.




So che è una discussione che lascia il tempo che trova, e le mie idee non sono basate su NESSUNA PROVA SCIENTIFICA (quindi sono aria fritta), io credo che non avesse senso l'omicidio del padre da Parte di Manfredi. Era il suo figlio prediletto, e non era un segreto per nessuno, nemmeno per Manfredi stesso.
Uccidere il padre in quel momento non gli avrebbe arrecato nessun vantaggio. Corrado era l'erede legittimo. Progettare l'omicidio di entrambe nella situazione politica di allora sarebbe stato un suicidio, per la casata. Infatti si sono estinti.
Io credo di più ad attacchi dall'esterno. Gli Hohenstaufen avevano acerrimi nemici in tutta Europa già dai temi di Federico I il Barbarossa, il nonno del nostro amato: i Comuni del nord Italia, i principi tedeschi, il Papa, tanto per dirne alcuni.

No, non mi sento di pensare che Manfredi sia stato così sciocco di ammazzare il padre ed il fratello con tutti i nemici che gli pullulavano intorno.
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Corradino di Svevia




Corradino di Svevia nacque a Landshut, in Germania, nel 1252. Il padre era Corrado IV, figlio di Federico II, la madre Elisabetta di Baviera. Noto anche come Corrado V di Hohenstaufen, duca di Svevia, fu l’ultimo sovrano della illustre dinastia: con lui si estinguerà, in pratica, la discendenza diretta.Fu re di Sicilia dal 1254 al 1258 con il nome di Corrado II, e re di Gerusalemme dal 1254 al 1268 con il nome di Corrado III.

Nel 1266, dopo la morte di Manfredi, quando aveva solo quattordici anni, fu chiamato in Italia dai ghibellini.

Allora nell'Italia meridionale erano accesi fuochi di resistenza nei confronti di Carlo d'Angiò, che fu costretto a precipitarsi verso il sud per cercare di reprimere almeno le principali opposizioni prima che il giovane Hohenstaufen varcasse i confini del regno di Sicilia.

La calorosa accoglienza ricevuta nella ghibellina Pisa lo incoraggiò a continuare la marcia verso il Sud e verso l’eredità che legittimamente gli spettava.

Accolto con favore dalle città imperiali dell'Italia settentrionale, entrò a Roma trionfalmente, ponendo le premesse per una facile vittoria.

Fu allora che Carlo d'Angiò, abbandonato l'assedio della colonia musulmana di Lucera che aveva intrapreso per onorare una promessa formulata al Pontefice, si mise in marcia per intercettare al più presto l'esercito di tedesco.

L’incontro avvenne sul confine del Regno di Sicilia presso Tagliacozzo.
Siamo nel 1267. È passato un anno da quando, nella battaglia di Benevento, le forze angioine hanno sbaragliato quelle sveve, e Manfredi, figlio di Federico Il e Bianca Lancia, è stato ucciso. Carlo d'Angiò, re di Napoli e figlio di Luigi VIII re di Francia, è al culmine della gloria. Era stato chiamato da Clemente IV, perché Manfredi che passava di successo in successo, metteva in grave pericolo il dominio temporale. Carlo ha 41 anni; è avido di potere e di ricchezze; è generoso cogli amici, spietato coi nemici. E' una figura contraddittoria. Benedetto Croce lo chiamerà "il grande e austero Carlo d'Angiò", mentre il biografo francese Jordan definirà "nefasta la sua opera", e giungerà alla conclusione che "l'Italia è in diritto di maledire la sua politica". Per il cronista fiorentino Giovanni Villani, Carlo sarà "savio, di sano consiglio e prode in armi, e aspro e molto temuto e ridottato da tutti i re del mondo, magnanimo e d'alti intendimenti, in fare ogni impresa sicuro, in ogni avversità fermo, e veritiero d'ogni sua promessa...>>, mentre il biografo genovese Galega Panzano, dirà che Carlo "non mantenne mai la parola da quando ebbe compiuto i sette anni" ed era "avaro quando era soltanto conte, doppiamente avido da re e non valutava il mondo intero più di un paio di guanti".

Carlo d'Angiò sogna maggiori conquiste. Ma la casa sveva non è finita. In Baviera, nel castello di Landstrut sul lago di lsar, vi è l'ultimo degli Hohenstaufen, Corradino, figlio di Corrado IV e nipote del grande Federico II. È un quindicenne biondo e snello, bello e romantico. Scrive poesie. Sogna il suo regno tanto diverso dalla Baviera fredda e piovosa. Sogna la terra amata dal sole, fiorita di mandorli e profumata di zagare, ove nacquero suo padre, suo zio e suo nonno.

Su questo adolescente si appuntano le speranze di tanti baroni italiani che da Palermo, Lucera, Siena, Pisa, Verona e Parma gli mandano messaggeri per convincerlo a scendere in Italia per prendere possesso del suo regno. Ed alla fine vi riescono. Sulla decisione molto influisce Galvano Lancia, fratello di Bianca Lancia, madre di Manfredi, zio di Corradino.
Chi più di tutti teme Corradino è Clemente IV. Come il suo predecessore, Urbano IV, egli è acerrimo nemico degli svevi che costituiscono una terribile minaccia per la Chiesa. Seguono, infatti, la politica, di Federico II che è quella di uno stato unitario italiano, in cui il potere della Chiesa sia limitato alla parte spirituale. Come Urbano IV anche Clemente IV è francese. Si chiamava una volta Guido Foulques le Gros ed era un grande avvocato. Alla morte della moglie si diede alla vita monastica, nella quale ebbe un successo maggiore di quello riscosso in campo forense. Fu presto cardinale e, il 5 febbraio 1265, fu eletto papa. L'incoronazione avvenne 17 giorni dopo, a Perugia.

Clemente IV segue attentamente gli avvenimenti e sa benissimo delle pressioni che vengono esercitate su Corradino. Il Pontefice non usa balestre, spade o lance, ma un'arma molto più potente: la scomunica, che, in un epoca dominata dalla paura dell'inferno, fa tanto leva sul popolo, che i re, per non perderne il consenso e l'appoggio, sono costretti a piegarsi.

Corradino non ha colpe, anche perché non ha avuto il tempo di peccare. Eppure il Papa tuona contro di lui: "Dal seme del drago è nato un basilisco, il cui alito pestilenziale già riempie la Toscana. Dovunque uomini empi, nidiata di serpi, ugualmente nemici della Chiesa e di re Carlo, si abbandonano a rei propositi creandovi nella narrazione di cose false un partito nelle città e nei castelli, presso i nobili e presso il basso popolo. Il basilisco è il bimbo Corradino, nipote del fu Imperatore Federico li respinto da Dio e maledetto dal rappresentante terrestre del Signore. I capi del partito dei ghibellini toscani sono quelli che intendono erigere quell'idolo infame per sostituirlo all'unico sovrano legittimo e designato dalla Chiesa, re Carlo di Sicilia".

Il Papa scomunica Corradino, ma questi, nel settembre del 1267, entra in Italia con un esercito di 12.000 uomini, il 21 ottobre è a Verona il 17 gennaio a Pavia, il 17 aprile a Pisa, dove lo raggiunge il suo esercito enormemente cresciuto. Il Papa è a Viterbo. Chi lo tiene lontano da Roma è Enrico di Castiglia.

Enrico di Castiglia, fratello di re Alfonso di Castiglia, è il classico tipo dell'avventuriero. Si era messo al servizio di Edmondo d'Inghilterra quando il Papa gli offriva invano il regno di Sicilia per opporlo a Manfredi; era poi passato al servizio del Sovrano di Tunisi ed aveva debellato le tribù ribelli vicine accumulando enormi ricchezze. Si era unito quindi a Carlo d'Angiò, al quale aveva prestato grosse somme di danaro, che non furono mai restituite, ed aveva anche combattuto contro Manfredi. A Roma le sue ricchezze, la sua vita splendida, le sue feste, la sua munificenza incantano tutti e viene nominato Senatore, carica che gli mette a disposizione enormi poteri. Un bel mattino, Enrico di Castiglia, che quando si è coricato la sera prima era guelfo, si sveglia ghibellino, invita in Campidoglio tutte le personalità che parteggiano per il Papa e le fa arrestare. Sfuggono alla cattura i Savelli, i Colonna, i Segni e i Frangipane. Questi ultimi si rifugiano nel loro castello in Astura.

Enrico di Castiglia accoglie Corradino in modo trionfale, il popolo inneggia a lui e tutta la nobiltà gli offre i suoi servigi, i festeggiamenti durano un mese. Poi, il 24 agosto, Corradino ed il suo esercito, al quale si è unito Enrico di Castiglia con le sue truppe spagnole, si mette in marcia per raggiungere le Puglie. Re Carlo, che finalmente ha ascoltato le esortazioni del Papa, va a tagliargli la strada. I due eserciti si scontrano a Scurcola, presso Tagliacozzo (Abruzzi). In un primo momento le forze sveve sbaragliano quelle angioine. Già si inneggia alla vittoria, quando Carlo, che si era tenuto nascosto dietro una collina, parte alla carica con 800 cavalieri e ben presto travolge e mette in rotta le forze nemiche. Corradino in fuga arriva alcuni giorni dopo a Roma, insieme a Galvano Lancia, Federico d'Austria, alcuni nobili romani e 50 cavalieri, ma trova porte chiuse. Tutta la nobiltà che si era fatta ghibellina è ritornata guelfa. Non gli resta che cercare di riparare in Puglia o a Pisa restate fedeli.

Il tentativo di fuggire via mare fallì, e Giovanni Frangipane lo arrestò e lo consegnò agli uomini di Carlo, re amico, il quale, come aveva fatto Clemente IV, aveva dato ordine di arrestare Corradino.
Quando Carlo chiese a Clemente che cosa dovesse fare di Corradino prigioniero in Napoli, il Pontefice gli avrebbe risposto: "Vita Corradini mors Caroli, mors Corradini vita Caroli". (questo lo capisco pure io che non so il latino)!


Portato in catene a Napoli, fu sottoposto ad un processo farsa, assieme ad alcuni suoi fedelissimi: quali delitti potevano essergli contestati, tranne quello di voler onorare il nome della dinastia e di affermare i propri diritti?

Condannato a morte, fu decapitato a soli sedici anni il 29 ottobre 1268 sul patibolo eretto in Campo Miricino, l’odierna Piazza del Mercato della città partenopea.

Con questa orrenda, ingiusta morte che all'epoca destò grande scalpore, finivano gli Hohenstaufen. Si dice però che alla esecuzione fosse presente Giovanni da Procida, fedele amico di Federico II, che raccolse il guanto di sfida con l'intenzione consumare presto ad una giusta vendetta.
[Modificato da Bag End 09/08/2007 12:02]
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flowerpassion, 08/08/2007 21.07:

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ENZO
Palermo 1224 - Bologna 1272




Scarse sono le fonti storiche sulla vita di Re Enzo; non esiste una biografia ufficiale, a parte il breve lavoro di Antonio Messeri (1981), e molto di quello che ci è pervenuto è stato ripreso dalle cronache medievali degli eventi bellici che lo videro protagonista e dalla tradizione che nella citta di Bologna si è tramandata dalla sua morte ad oggi.

Enzo - o, derivando meglio dal nome latino, Enzio - nacque nel 1220 dalla relazione di Federico II con una nobildonna di origine germanica, Adelaide, che alcune fonti affermano sia stata la figlia del duca di Spoleto Corrado di Urslingen Conte di Assisi, nominato da Enrico VI Duca di Spoleto, uomo di assoluta fiducia della Casa sveva: lo stesso che aveva fornito ospitalità a Costanza d'Altavilla al momento del parto.

Detto "il Falconetto" per la sua grazia e per il suo valore, Enzo è stato un uomo decisamente interessante sotto vari aspetti: come il padre amò la cultura e lo sport, fu appassionato della caccia con il falcone, un buon poeta, amante del gentil sesso, un condottiero coraggioso ancorchè sfortunato.

Diciottenne, nel 1238 sposò per interessi dinastici Adelasia di Sardegna, principessa dei Giudicati di Torres e Gallura, vedova di Ubaldo Visconti, dieci anni più anziana di lui.
Con questo matrimonio divenne Re di Sardegna, sollevando il risentimento di Gregorio IX che non voleva vedere occupato dalla Casa di Svevia un simile interessante possedimento, in precedenza vassallo della Chiesa. In seguito il Papa riuscì a sciogliere il matrimonio per infedeltà del marito.

Nel 1249, passò a seconde nozze con una nipote del cognato Ezzelino da Romano, della quale non si conosce il nome. Dai matrimoni, Enzo ebbe un figlio, Enrico, non ricordato dal testamento del padre; mentre da una certa Frascha ebbe una figlia illegittima, Elena, che - ricordata nel testamento - andò sposa a Ugolino della Gherardesca conte di Donoratico.

Nel 1241 partecipò alla battaglia navale dell'Isola del Giglio: un assalto piratesco contro i prelati inglesi e francesi che, partiti da Genova, si recavano a Roma per partecipare al Concilio Ecumenico convocato da Gregorio IX. Fu un'ecatombe di monsignori fra morti, feriti e prigionieri rinchiusi nelle carceri del Regno di Sicilia; un gesto che costerà caro alla diplomazia ed all'immagine dell'Impero.

Successivamente, combattè a lungo contro i Comuni lombardi. Nel giugno del 1247, mentre era con i Cremonesi all'assedio del castello di Quinzano presso Verolanuova, nelle vicinanze di Brescia, ebbe notizia della defezione di Parma a vantaggio dei Guelfi, e fu il primo ad accorrere in aiuto degli Imperiali presso la città ribelle.


Re Enzo catturato a Fossalta dai bolognesi: disegno di Enzo Maria Carbonari, nel volume La montagna incantata, pubblicato con il patrocinio della Fondazione Federico II di Jesi.

Il 18 febbraio 1248, giorno della sconfitta, uscì indenne dalla distruzione della cittadella imperiale di Victoria - fatta erigere da Federico alle porte di Parma - perchè era in missione militare sulle rive del Po.

Nel 1249 il suo esercito fu sconfitto dai Bolognesi nella battaglia di Fossalta; catturato, fu condotto in catene a Bologna. Federico ne chiese con insistenza la restituzione - era stato e restava uno dei suoi figli più fedeli ed affidabili - ma i bolognesi risposero chiaramente che non lo avrebbero mai liberato. E così fu.

Durante la lunga, dorata ma tristissima prigionia nel palazzo del Podestà (oggi Palazzo Re Enzo) in Bologna, conobbe varie donne ed ebbe due figlie naturali: Maddalena e Costanza, entrambe ricordate nel testamento.

Si dedica alla poesia, scrivendo fra l'altro un estremo saluto all'amata Puglia che lo aveva visto bambino:

Va, canzone mia...
Salutami Toscana quella cheda è sovrana
in cui regna tutta cortesia
E vanne in Puglia piana la magna Capitana
là dove lo mio core notte dia ...


Enzo finirà i suoi giorni ancora prigioniero a Bologna, nel 1272 (papa Gregorio X), dopo aver assistito forzatamente, alla rovina ingloriosa di tutti i suoi.





Nel 1909 Giovanni Pascoli si ispirerà a lui nelle celebri composizioni poetiche Canzoni di re Enzo





Palazzo re Enzo






[Modificato da silvanapat 09/08/2007 07:07]
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09/08/2007 07:29
 
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Re:
silvanapat, 08/08/2007 15.34:

MANFREDI






La vita di Manfredi è ricca di avvenimenti che hanno condizionato vari secoli di vita italiana.

Federico II aveva una particolare predilezione per Manfredi: perché è figlio di Bianca Lancia, il suo unico vero amore; perché vede in lui l’erede dello spirito battagliero, indomito, tipico degli Svevi; perché dimostra di avere le sue stesse passioni.

Eppure, Manfredi ha una vita discussa, con atteggiamenti a volte contraddittori, che lo fanno un personaggio fra i più interessanti del suo secolo.

In realtà, se l’Impero medievale tramonta con Federico II, Manfredi è il protagonista di questa crisi, l’uomo che per primo sconta l’invettiva di Innocenzo IV: "Estirpare il nome di questo babilonese e quanto di lui possa rimanere, dei suoi discendenti, del suo seme".

Manfredi nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV — il primogenito figlio di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in Germania. Questa decisione lo inimica subito al Papa, che avrebbe voluto liberamente disporre dell’intero patrimonio svevo.

Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni.

Ma quando Corrado, nell’agosto del 1252, sbarca a Siponto e giunge nella Puglia per prendere possesso dei suoi territori dimostra di non avere il talento e le virtù paterne e di non poter reggere il confronto con Manfredi che, essendo figlio naturale, deve ridursi al semplice rango di vassallo.
Fra i due corrono dissapori, invidie, rivalità finché nel 1254 Corrado muore per cause che sollevano non pochi dubbi. Fratricidio? Non si saprà mai, né sono affidabili le sole illazioni dei cronisti guelfi.

Diventato di fatto capo della Casa di Svevia, Manfredi si trova a tu per tu con Innocenzo IV, determinato a disfarsi dell’incomoda dinastia imperiale. Un tentativo di rappacificazione fallisce nel luglio del 1254, mentre il successivo 12 settembre Manfredi è colpito da anatema.

Di fronte alla possibilità di uno scontro cruento al quale nessuno era preparato, si giunge rapidamente ad un accordo.

Accanto alla revoca della scomunica, Manfredi riceve dalla mani del Papa feudi e principati, una rendita di ottomila once d’oro, e soprattutto la nomina a vicario per la maggior parte dei territori continentali del Meridione, in cambio del riconoscimento dell’autorità papale sul Regno di Sicilia.

Ma lo Svevo non demorde: all’inizio di dicembre organizza una rivolta in Puglia riuscendo a conquistare Lucera ed a battere l’esercito pontificio. E’ l’ultimo atto del confronto con Innocenzo IV, che rende l’anima a Dio il 7 dicembre 1254.

Da quel momento, forte della posizione acquisita con la diplomazia e con le armi, Manfredi vuol trarre il massimo profitto dalla elezione al soglio di Alessandro IV, un uomo che, almeno all’apparenza, si presenta debole ed indeciso e si dedica alla conquista del Regno che comporta una lotta lunga e complessa.

Sul piano militare il conflitto si inasprisce in Puglia; ma è fondamentale provvedere in tempi brevi all’occupazione del trono di Sicilia, che Manfredi ritiene un patrimonio svevo ereditato dai Normanni e destinato a Corradino, legittimo successore del defunto Corrado.

Così, il 10 agosto 1258, dopo aver allontanato il reggente Bertoldo di Hohenburg — un fedele di Federico II passato ad infoltire le file papaline — si fa incoronare nella cattedrale di Palermo tra le feste della popolazione.

Alessandro IV dichiara nulla l’incoronazione, mentre è dalla Germania, la madre di Corradino, l’erede legittimo di Corrado IV, insorge. Ma a Manfredi non è difficile spiegare il proprio operato, che si era reso necessario per salvare il Regno dallo sfacelo.

Da quel momento, Palermo tornava ad essere la capitale del più bel Regno d’Europa.

Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato.

Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma senza cercare la guerra.

Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se non avrà il tempo di raccoglierne i frutti.

Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la barba fini… si svolge in un clima di gioioso, ricco di donne belle e raffinate; cose queste che consentono alla propaganda guelfa di alimentare dicerie ed accuse di corruzione.

Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia.

Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che rasenta il fanatismo;
è a corrompere con il denaro i governanti che non condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I.

http://www.stupormundi.it/images/d'angi%F2.jpgCarlo d'Angiò

Alle strette, Manfredi si rivolge agli alleati ormai ridotti di numero. In questi appelli vi è tutta la dignità di un sovrano che non considera il nemico degno di sé. Essi esprimono l’illusione di un intellettuale, destinata ad essere soffocata dalla forza brutale.

Carlo I valica le Alpi al Colle di Tenda alla fine del 1265. Con un esercito di almeno 30.000 uomini, inizia a spargere il terrore nelle campagne e riduce la resistenza nelle roccaforti ghibelline.

Il 6 gennaio 1266 è incoronato a Roma, in assenza del Papa, cosa questa che prova il declino della Sede Apostolica. Il 20 gennaio Carlo I riparte da Roma e supera i confini del Regno attraversando il fiume Liri. Dopo varie scaramucce, lo scontro campale avviene a Benevento.

Il mattino del 26 febbraio, seguendo il consiglio di un astrologo, Manfredi decide l’attacco. Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte.

Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più favorevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che combattono al grido di "Svevia!". Deciso a gettarsi nella mischia, si sta vestendo l’armatura, quando l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. "Ecco la volontà di Dio" mormora: è il segno della fine. La giornata si conclude con un massacro e Carlo I resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo.

Una volta riconosciuto, il suo corpo smembrato fu seppellito sul campo di battaglia sotto un mucchio di pietre.
Ma la località era sotto il dominio della Chiesa e quindi non poteva custodire i resti di uno scomunicato.
Fu pertanto dato mandato all'arcivescovo di Cosenza di disseppellire i resti: la sua tomba fu violata ed il corpo riesumato fu deposto, quale SCOMUNICATO, fuori dai confini dello stato della Chiesa.

Era il tramonto del 12 febbraio 1266.

La propaganda guelfa e papalina ha per secoli accusato Manfredi di aver usurpato il trono del nipote Corradino. Se questo fatto può avere qualche fondamento storico, non si vede come l’accusa possa essere lanciata da un pulpito che ha imposto l’occupazione angioina di Carlo I, avviando una dominazione straniera indubbiamente più odiosa e retriva di quella Sveva.

In seguito a questi eventi tutto il progetto di Federico II sul meridione crollò: Carlo d'Angiò si impadronì di quest'area e vi insediò dei funzionari francesi, trasferendo la capitale da PALERMO a NAPOLI.



continua...................



Sterminio dei discendenti di Manfredi

ELENA DUCAS (1241 - 1271), 2° moglie di Manfredi e figlia del despota d'Epiro Michele II, fu inprigionata con i suoi giovanissimi figli maschi (Enrico - Federico - Azzolino), forse accecati, moriranno di stenti in carcere.

COSTANZA
Figlia di Manfredie della prima moglie Beatrice di Savoia, discendente quindi diretta da Federico II, Costanza andò sposa a Pietro III d'Aragona dal quale ebbe Alfonso III, Giacomo II, Federico II, ("L'onor (la discendenza dinastica) di Cicilia (Sicilia) e d'Aragona" Pg. III,116 ) e Pietro.

Dopo la rivolta dei Vespri Siciliani (1282) Pietro III appoggiato dei fedelissimi della casa di Svevia, ottenne la corona di Sicilia proprio a causa della discendenza della moglie.

Partito il marito per la Sicilia, Costanza governa con saggezza l'Aragona, ma, morti sia il marito sia il figlio primogenito Alfonso III, preferì abbandonare il suo ruolo di governo e consacrarsi nell'Ordine delle Clarisse.
Ritiratasi in un convento di Barcellona, Costanza morì probabilmente dopo il 1302.



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UN PICCOLO RIASSUNTO SUI FIGLI DI FEDERICO II


I figli di Federico II°

Mentre Federico II° era alle crociate, aveva affidato l’Impero a suo figlio Enrico, che nel 1234 tentò di rendersi indipendente. Fatto arrestare, morì in prigione.

Sia in Germania che nell’Italia settentrionale il partito antimperialista stava prevalendo, sostenuto anche da Gregorio IX, che convocò un concilio di vescovi a Roma per deporre Federico, il quale, con l’aiuto della flotta pisana, bloccò le navi con i vescovi all’isola del Giglio.

Nel 1237 dovette affrontare nuovamente la Lega Lombarda a Cortenuova, ma questa volta i Milanesi furono duramente sconfitti e persero anche il Carroccio.
Quello che non era riuscito a Gregorio IX lo fece dopo quattro anni il nuovo papa Innocenzo IV, il quale convocò, questa volta a Lione, un concilio, che dichiarò decaduto Federico II.
I nobili tedeschi, che non avevano mai amato questo imperatore,che parlava meglio l’italiano della loro lingua, colsero l’occasione per liberarsi di Federico e convocarono una dieta a Wuerzburg, che lo dichiarò decaduto, nominando nuovo re di Germania Enrico Raspe, conte langravio di Turingia, il quale dopo un anno morì (1247), senza aver cinto la corona imperiale.

I principi elettori scelsero, come suo successore, Guglielmo d’Olanda, che ebbe il titolo di imperatore,ma, contrastato dal partito filosvevo, fu in grado di governare soltanto nei suoi possedimenti e morì giovanissimo, a soli 29 anni, combattendo contro i Frisoni (1256).
Federico morì nel 1250, a 56 anni, nel Castello di Fiorentino di Puglia, dove era andato per una partita di caccia, circondato dai suoi funzionari arabi, i quali avvolsero il suo corpo in un manto ricamato con i caratteri dell’antica scrittura araba e non meraviglia il fatto che i papi lo considerassero, più che un imperatore , un vero sultano battezzato.
Da allora riposa nelle tombe imperiali e reali della Cattedrale della sua Palermo, accanto a suo padre, Enrico VI, ed a sua madre, l’imperatrice Costanza.
Con lui il regno di Sicilia conobbe il massimo splendore e la corte di Palermo divenne un centro europeo delle lettere e delle scienze. Con la sua morte il declino degli Hohenstaufen fu molto rapido e coinvolse in un tragico destino la sorte dei suoi figli e di suo nipote Corradino, ultimo discendente della dinastia.

Enrico VII duca di Svevia

Primogenito di Federico II e di Costanza d’Ungheria, nato in Sicilia nel 1211, eletto re di Germania.
Arrestato nel 1235 per ribellione al padre, morì nella prigione di Martirano in Calabria, a 31 anni.

Enzo

Figlio di Federico e di Bianca Lancia di Brolo.
Nel 1243 diventa re di Sardegna, avendo sposato Adelasia, ricca ereditiera di nobile famiglia sarda.
Nominato dal padre nel 1239 vicario imperiale per l’Italia, diresse la lotta contro il partito guelfo, catturando le navi genovesi, che trasportavano a Roma i vescovi convocati per deporre Federico.
Sconfitto dai guelfi nella battaglia di Fossalta nel 1249, morì in prigione a Bologna nel 1272.

Corrado IV

Nato nel 1228 ad Andria, nei pressi di Castel del Monte.
Dal 1250 al 1254 imperatore designato dal padre, ma non riconosciuto da tutti i feudatari.
Combatte a lungo contro Enrico Raspe e Guglielmo d’Olanda, appoggiati dal papa.
Non ostante la scomunica, Corrado scese in Italia come pretendente al trono di Sicilia.
Conquistò Napoli, ma nel 1254 morì a Lavello, nei pressi di Potenza, a soli 26 anni, lasciando come erede un figlio di due anni,detto Corradino.

Manfredi

Figlio di Federico II, nacque a Benevento nel 1232. Alla morte di suo padre, con l’appoggio del papa Innocenzo III e diffondendo la falsa notizia della morte di Corradino, ottenne la corona di Sicilia. Tentò di risollevare le forze ghibelline in Italia, contro il parere del nuovo papa Clemente IV, francese di nascita, il quale, avendo mal tollerato il suo colpo di stato in Sicilia, chiamò in Italia Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che sconfisse Manfredi a Benevento nel 1266.
Dante Alighieri, nel Purgatorio della sua Commedia, ricordando la morte di Manfredi, scrisse:
“ Biondo era, bello e di gentil aspetto / ma l’un de’ cigli un colpo aveva diviso “
Suo zio Giordano Lancia, fratello di Bianca, combattè fedelmente al suo fianco e riconobbe, tra i vari morti, la salma di Manfredi.

Corrado V o Corradino di Svevia.(nipote di Federico II)

Nato nel 1252 nel castello di Wolfstein da Corrado IV e da Elisabetta di Wittelsbach, passò la sua infanzia alla corte di Ludovico di Baviera. Aveva solo quindici anni quando scese in Italia chiamato dagli avversari di Carlo d’Angiò. Ben deciso ad impadronirsi del suo regno di Sicilia, non ostante la scomunica del papa, che perseverava nella politica di staccare il meridione dall’impero, raggiunse senza difficoltà Roma e procedendo verso l’Abruzzo, si scontrò a Tagliacozzo ( 1268 ) con Carlo d’Angiò.
Corradino aveva già vinto la battaglia e le truppe angioine erano in fuga. I suoi soldati commisero l’errore di sparpagliarsi in cerca di bottino e furono attaccati alle spalle dalle riserve francesi.

Corradino cercò di salvarsi, ma fu tradito dal suo alleato Giovanni Frangipane, il quale lo consegnò a Carlo d’Angiò, che fece decapitare l’infelice ragazzo, aveva solo sedici anni, nella piazza del mercato a Napoli.

Moriva così l’ultimo esponente della dinastia degli Hohenstafen e la corona di Sicilia passò a Pietro III d’Aragona, che aveva sposato la figlia di Manfredi.

Il papato aveva vinto la sua lunga battaglia per staccare la Sicilia dall’impero, facendo sterminare quella “razza di vipere”, come lui definiva gli Hohenstaufen.

Ricordo i due personaggi che ressero l’impero, dopo la morte di Federico:
Enrico Raspe di Turingia , re di Germania ( 1246-1247 ) mai imperatore.
Guglielmo d’Olanda, imperatore ( 1247-1256 ).
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LE QUATTRO MOGLI DI FEDERICO II FRA MITO E REALTÀ

di Alberto Gentile

Federico II ebbe quattro mogli: le prime tre gli furono imposte dalla ragion di Stato ben rappresentata dai papi, mentre amò sinceramente l’ultima con la quale visse un rapporto avvolto dal mistero, sotteso fra storia e leggenda.

In realtà le mogli di Federico furono utili solo per fornire qualche erede legittimo alla Casa di Svevia, in aggiunta ai più numerosi bastardi; ma nessuna di loro riuscì a giocare un ruolo politico apprezzabile, schiacciate dalla personalità del marito ed oltre tutto sempre chiuse nei palazzi dorati della Corte.

Costanza d’Aragona

Federico sposò Costanza d’Aragona quando aveva 15 anni, nel 1209. Al matrimonio fu quasi costretto da Innocenzo III che aveva esercitato su di lui la tutela richiesta dalla madre, Costanza d’Altavilla, in punto di morte. Con questa iniziativa il pontefice intendeva affiancare al giovane e recalcitrante delfino della Casa di Svevia una donna religiosissima, affidabile, molto più anziana di lui, in grado di indirizzarlo sulla via dell’obbedienza verso l’autorità romana: si sbagliava di grosso.



Il camaleuco di Costanza D'Aragona, Palermo tesoro della cattedrale.

Federico accettò l’imposizione obtorto collo e non modificò la sua vita. Dall’unione nacque Enrico VII, un uomo che assunse nei confronti del padre atteggiamenti di vivace competitività quindi di aperta sfida; morì forse suicida mentre era prigioniero nelle carceri imperiali. Costanza morì nel 1222.

Jolanda di Brienne

Le nuove nozze di Federico con Jolanda (o Isabella) di Brienne furono paternamente sollecitate da Onorio III in vista della VI Crociata in Terra Santa.

La giovane infatti era figlia del cattolicissimo Giovanni, un valoroso crociato che le avrebbe lasciato in eredità la Corona di Gerusalemme: un titolo di scarso valore patrimoniale ma utile per il successo della nuova spedizione. Anche Federico ambiva fregiarsi del nuovo il titolo, ma per motivi un po’ diversi: egli considerava la corona un elemento determinante per concludere l’impresa con un accordo diplomatico, dimostrando che era possibile affermare la fede pacificamente, senza spargimento di sangue. L’unione fu benedetta il 9 novembre 1225 nel duomo di Brindisi, ed ebbe un avvio decisamente difficile.

Il matrimonio tra la giovane Jolanda di Brienne e Federico II, dalla cronica del Villani.

Jolanda aveva allora 13 anni; era immatura, bruttina, poco all’altezza di figurare accanto ad un trentenne colto, avviato alla gloria. Giusto la prima notte di matrimonio, Federico trovò il modo di consolarsi: e lo fece con la cugina della moglie, Anais, una dama di compagnia ventenne, procace, disinibita, tutto sommato un bocconcino da buongustai. Venuto a conoscenza dell’increscioso fatto, Giovanni di Brienne si rivolse al pontefice che si guardò bene dal disturbare Federico ed evitò lo scandalo limitandosi ad indennizzare il deluso padre con un remunerativo incarico presso la Corte romana.

Jolanda diede al marito due figli — Corrado IV e Margherita — e morì nel 1228, a soli 16 anni, per postumi da parto.


Isabella d’Inghilterra

Isabella era la sorella di Enrico III d’Inghilterra. Fu Gregorio IX a caldeggiare le nozze nel 1235 per consentire all’imperatore di avvicinarsi ai ricchi guelfi germanici che nemmeno lui riusciva a controllare ed ai potentati d’oltre manica. In realtà l’obiettivo fu raggiunto solo in parte; prima che Federico potesse complicare da par suo i rapporti familiari con la corona inglese, il quadro delle operazioni diplomatiche e militari si spostò in Italia, né si ridussero le pretese dei nobili tedeschi.

Isabella fu madre di Enrico detto Carlotto, morto in giovanissima età; e calerà nella tomba nel 1241, in pieno conflitto del marito con Gregorio IX.


Bianca Lancia

Bianca Lancia, della famiglia dei conti di Loreto, fu l’unica donna che riuscì a conquistare veramente il difficile cuore di Federico. I due si conobbero nel 1225, pochi mesi dopo lo sfortunato matrimonio con Jolanda di Brienne: fu un reciproco colpo di fulmine.



Miniatura medievale che ritrae l'augusta coppia, Codex Palatinus Germanicus 848 (Codex Manesse).

Non potendo convolare a giuste nozze, i due mantennero una relazione clandestina ma tutt’altro che segreta, tanto che da essa nacquero due figli, forse tre: Costanza, Manfredi, alcuni dicono Violante.

Secondo una leggenda che ci è stata tramandata da padre Bonaventura da Lama e ripresa dallo storico Pantaleo, durante la gravidanza di Manfredi Federico tenne rinchiusa l’amante in una torre del castello di Gioia del Colle. Desiderio di riservatezza, capriccio, gelosia? Il Bonaventura propende per quest’ultima, anche se l’aspetto del figlio, somigliantissimo al padre, smentirà ogni più lieve dubbio; ma, come noto, il sospetto di infedeltà ha sempre reso gli uomini ciechi, prepotenti, irrazionali. Resta il fatto che la sensibile principessa non poté resistere all’umiliazione; vinta dal dolore, si tagliò i seni e li inviò all’imperatore su di un vassoio assieme al neonato. Dopo di che, conclude il cronista, "passò ad altra vita". Da quel giorno, ogni notte, nella torre del castello detta ora Torre dell’Imperatrice si ode un flebile, straziante lamento: il lamento di una donna offesa che protesta all’infinito la propria innocenza.

Se questa è leggenda, la storia è un po’ più controversa ma non meno toccante. Secondo alcuni nel 1246 Federico — nel frattempo vedovo della terza moglie Isabella — si trasferì da Foggia al castello di Gioia del Colle dove trovò l’amante assai sofferente. La donna gli chiese allora di legittimare i tre figli nati dal loro amore, unendosi a lei con un regolare matrimonio: cose che avvenne e che consentì a Bianca di essere per pochi giorni un’imperatrice.

Secondo la Chronica di fra’ Salimbene da Parma, il matrimonio avvenne invece in punto di morte dell’imperatore, quindi alla fine del 1250: ma ai nostri occhi la sostanza non cambia.


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DANTE NELLA DIVINA COMMEDIA GIUDICA ALCUNI DEI PROTAGONISTI MEDIEVALI DI PALERMO E LI INSERISCE NEI SUOI CANTI.


INFERNO

III CANTO

PIER DELLA VIGNA




Dante e Virgilio si ritrovano in una foresta con alberi contorti da cui provenivano lamenti. Dante chiede spiegazioni riguardo l’origine dei lamenti e Virgilio gli suggerisce di spezzare una ramo per capire tutto. Dante accetta il consiglio e dal ramo escono sangue e lamenti di dolore:



“«Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb' esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».”.



L’albero in realtà era Pier delle Vigna e gli racconta che tutte le anime che si sono tolte la vita diventano alberi e non avranno mai piu il loro corpo, che sarà appeso all’albero che custodisce la loro anima e tormentato dalle arpie. Dante lo pone all’inferno soltanto per essere un suicida e lo scagiona dall’ accusa di tradimento al suo imperatore Federico II.


INFERNO

X CANTO



FEDERICO II





“Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è 'l secondo Federico,
e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio»”.



E’ qui che Dante mette Federico II accusato di essere un laico e di non credere nella vita eterna dopo la morte.

Nel sesto cerchio dell’inferno si trovano i dannati accusati di eresia; queste anime sono condannate in eterno a giacere in sepolcri infuocati.

Una leggenda narra che Federico II in fin di vita chiede perdono a Dio accusandosi di essere un peccatore ma a quanto pare Dante non crede al pentimento del sovrano e lo considera un epicureo piazzandolo nel VI cerchio


PURGATORIO

III CANTO



MANFREDI




Davanti al monte divino Dante e Virgilio sono indecisi su come scalare la ripidissima altura, finche non videro una schiera di anime che si avvicinavano e chiedono consiglio.

Una di queste anime si rivolge a Dante chiedendogli se conoscesse la sua identità, era biondo, bello e di aspetto nobile con un sopracciglio ferito ma Dante non lo conosceva.

Allora l’anima si presentò:

«Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond' io ti priego che, quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

Era Manfredi figlio di Federico II morto in battaglia a Benevento per mano di un soldato di Carlo D’Angiò. Manfredi vuole che Dante quando ritornerà al mondo terreno vada da sua figlia a dirgli la verità sulla situazione celeste del padre, cioè che la scomunica non gli ha tolto l’eterno amore divino.

Dante pone Manfredi nell’antipurgatorio perché in quanto scomunicato in vita prima di iniziare la purificazione devono attendere trenta volte il tempo che vissero in stato di scomunica.


PURGATORIO

VII CANTO



CARLO D'ANGIO'


[IMG]http://www.palermonelmedioevo.com/images/carlo%20d'angio.jpg[/IMG]

ante si trova nell’antipurgatorio in una valletta dove troviamo tutti i re che si sono riempiti di vizi non curandosi del loro lato spirituale e dei loro sudditi.

Erano seduti in un bellissimo prato verde ricco di piante e fiori dai colori più belli della terra da cui fuoriusciva un odore soave e dolcissimo, ma le anime in espiazione non percepivano niente di tutta questa bellezza la stessa cosa che era accaduta in terra ai loro sudditi.



“Quel che par sì membruto e che s'accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d'ogne valor portò cinta la corda;”



In questo gruppo Dante pone Carlo D’Angiò un uomo che si riempii di vizi ma pentitosi prima di morire.


PARADISO

III CANTO



COSTANZA

D'ALTAVILLA



“Quest' è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò 'l terzo e l'ultima possanza».

Così parlommi, e poi cominciò 'Ave,
Maria' cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave”.



Ci troviamo nel primo cielo del paradiso quello della luna dove stanno le anime che non compirono i voti, qui Dante e Beatrice incontrano Costanza D’Altavilla madre di Federico II.

Dante pone Costanza in questo cielo perché ritiene attendibile quella leggenda che dice che Costanza si era ritirata in un monastero di Palermo ma poi fu allontanata dalle autorità ecclesiastiche per sposare Enrico VI di Svevia.
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09/08/2007 11:10
 
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curiosità


La vita in un castello



La grande età dei castelli iniziò almeno 1000 ani fa e durò circa 500 anni. In questo periodo in Europa e nel Vicino Oriente sorsero più di 15.000 castelli; dominavano le valli dei fiumi del centro Europa, proteggevano isolati passi alpini e controllavano le assolate coste mediterranee.

Queste poderose roccaforti servivano a controllare e difendere ampie aree del territorio circostante. Ma un castello era molto più di una fortezza: dentro le sue mura potevano trovarsi un salone sontuoso, camere ospitali e una ricca cappella, oltre a prigioni, cantine e magazzini. Il castello era anche la casa del signore, della sua famiglia e del suo seguito.

La costruzione di un castello

Nel Medioevo non c'erano trapani e scavatrici da utilizzare, tutto il lavoro era fatto a forza di braccia. I carpentieri segavano il legname ed alzavano i ponteggi; i fabbri costruivano e riparavano gli attrezzi; i muratori foggiavano le pietre ed i manovali impastavano la malta e scavavano i fossati. I primi castelli erano fatti solo di legno, cui ben presto so sostituì la pietra che era più forte e resisteva al fuoco nemico. Erigere castelli in muratura era un'impresa complicata: bisognava trasportare via fiume, via mare o via terra i materiali necessari, si dovevano ingaggiare i costruttori ed organizzare i manovali. Per portare a termine un castello potevano occorrere tra i 10 e i 20 anni e un impegno finanziario molto grande.

Vita quotidiana nel castello

In tempo di pace per pattugliare il castello servivano pochi soldati e le bertesche di legno (cioè i ballatoi che sporgevano dalle torri per consentire di lanciare materiali incendiari contro il nemico) erano tolte dalle merlature. Il castello era tranquillo per la maggior parte dell'anno, ma quando arrivava il signore per una visita o il re per un soggiorno, si riempiva di trambusto e di gente indaffarata. Durante la sua permanenza il signore ispezionava le terre, incontrava i funzionari del castello per accertarsi che tutto si svolgesse senza problemi, giudicava i prigionieri, intratteneva i suoi ospiti con battute di caccia, festini e giostre.

Durante l'anno nella maggior parte dei castelli si custodivano solo ridotte scorte di cibo, ma all'arrivo del signore o del re il castello risuonava di comandi per organizzare il suo soggiorno. I servitori riempivano le cantine di carne affumicata e pesanti sacchi di cereali e farina. Il castaldo controllava le vecchie provviste per accertarsi che il grano non fosse ammuffito e che il vino non fosse inacidito. I castelli più grandi avevano frutteti, vigne ed orti che fornivano verdure ed erbe aromatiche. Bestiame, greggi e ovini erano tenuti nei terreni agricoli circostanti. In occasione di feste particolari, poi, le squadre di caccia del signore ritornavano dalle foreste recando cervi e daini, cinghiali e fagiani.

Quando il signore era lontano, la cucina era tranquilla; il conestabile poteva mangiare da solo nella sua stanza privata e per una piccola guarnigione bastavano pasti semplici. Al contrario, durante il soggiorno del signore, la cucina era in piena attività: il cuoco impartiva ordini e gli aiutanti sminuzzavano le verdure, spennavano pollame e battevano la carne per farla diventare tenera. I lavori peggiori, come pulire il calderone o andare ad attingere l'acqua al pozzo, toccavano ai giovani sguatteri. La parte più calda della cucina era di fronte al grande camino; qui uno sguattero "girarrosto" aveva l'ingrato e sudato compito di girare una lunga asta su cui era infilzata la carne da arrostire. Nel fianco del grande camino c'era di solito un forno a cupola per cuocere il pane; era riscaldato con un fuoco di rami vari e si manteneva caldo per ore.

In occasioni particolari, nel grande salone del castello si allestivano dei sontuosi banchetti. Il signore, la sua famiglia e gli ospiti più importanti sedevano alla tavola principale, rialzata rispetto a quella degli altri commensali e ricoperta di una tovaglia di tessuto pregiato. Dopo un roboante suono di trombe, uno stuolo di camerieri recava le varie portate. Agli ospiti potevano venire offerte minestre e gelatine, anguille e lamprede, anatre, aironi o cigni arrosto. Le vivande erano servite in grandi piatti condivisi da più commensali. Solo gli invitati illustri avevano il loro vassoio personale e mangiavano da piatti d'oro o d'argento; tutti gli altri usavano una grossa fetta di pane raffermo, simile ad un tagliere, che assorbiva l'unto delle pietanze. Gli avanzi erano poi distribuiti fra i poveri.

Ma nel castello bisognava anche affrontare problemi di igiene molto gravi. nel Medioevo infatti ci si preoccupava molto meno di oggi della pulizia. le latrine di un castello erano poco più di buchi con sedili di pietra, poche stanze avevano acqua corrente e il bagno era un lusso molto costoso. Di tanto in tanto il castello era ripulito da cima a fondo; saggiamente i signori lo lasciavano per una o due settimane mentre l'intero edificio era arieggiato, spazzato e lavato. Il compito nauseante di svuotare i pozzi neri sotto alle latrine spettava ad alcuni addetti particolari, muniti di secchio e badile.

Tra il 1347 e il 1351 ci fu un'epidemia di peste, detta "Morte Nera", che uccise circa 25 milioni di persone in Europa e in Asia, poiché non si sapeva niente sui germi che diffondevano la malattia, Spesso le giovani donne morivano di parto e gli uomini per le ferite ricevute in battaglia; ma se si scampavano queste sciagure si poteva vivere fino a tarda età.

Un altro aspetto importante della vita nel castello era l'abbigliamento: così come i re costruivano castelli per impressionare la popolazione, così i più facoltosi si abbigliavano con sfarzo per impressionarsi a vicenda. In occasioni importanti i nobili portavano gioielli, catene d'oro e abiti colorati e sontuosi. I colori avevano dei significati particolari: il blu indicava che si erano innamorati, il giallo arrabbiati, il grigio tristi. Nel primo medioevo i ricchi indossavano abiti relativamente semplici; ma a partire dal XII secolo la moda si fece più elaborata. proprio come oggi, i modelli di scarpe e copricapi, la foggia di vesti e sopravvesti cambiavano ogni anno. Nel XIII e XIV secolo in molte parti d'Europa furono varate leggi contro il lusso eccessivo, ma in genere non furono rispettate.

Lo sport preferito era la caccia e molti signori tenevano appositi cavalli per le battute: questi erano ben curati e spesso vivevano meglio dei servi che vi badavano. Anche i cani da caccia erano molto apprezzati e venivano addestrati a fiutare e seguire le tracce della loro preda. Ogni re e ogni signore aveva il suo segugio prediletto, che lo accompagnava in giro per il castello; i cani erano accuditi dai cacciatori e dagli allevatori del signore.

Nel primo Medioevo in Europa c'erano grandi foreste, piene di daini, cinghiali, volpi e orsi, ma col passare degli anni vaste zone vennero disboscate e trasformate in terreno agricolo. Già nel XII secolo alcune aree erano preservate come riserve di caccia per il re. I contadini scovati a cacciare di frodo erano severamente puniti: se venivano catturati potevano essere accecati e perfino uccisi. Ciò nonostante, molti cercavano di catturare una lepre o uno scoiattolo da mettere in pentola.

Il castello in tempo di guerra

per conquistare un castello e il territorio circostante un comandante nemico doveva tracciare molto attentamente la sua strategia. Prima d'iniziare l'assalto esaminava la zona attorno: sarebbe stato facile circondare il castello? Dove conveniva posizionare le macchine da guerra? Quanto avrebbero resistito gli assediati? Se non riuscivano ad espugnare il castello in tempi rapidi gli assalitori miravano ad affamarne la guarnigione per costringerla alla resa. Nei fatti, pochi castelli resistevano ad oltranza; il conestabile poteva essere tenuto a difendere il castello per 40 giorni: se il suo signore o il suo re non gli mandavano rinforzi entro quel termine, poteva arrendersi al nemico senza per questo perdere il suo onore. L'assalto al castello aveva diverse fasi: il nemico montava prima le macchine d'assedio, il trabocco e il mangano, e cominciava a scagliare pietre e frecce incendiarie contro le postazioni di difesa. Nel frattempo il fossato veniva prosciugato e riempito di terra e sterpaglia. I soldati si arrampicavano sulla lunga scala da combattimento buttata a ridosso del muro di cinta esterno, mentre la torre mobile raggiungeva le merlature. I difensori si riparavano all'interno delle bertesche di legno o nelle strombature delle feritoie, da dove rispondevano all'attacco del nemico. Le settimane passavano lente se l'assalto non aveva avuto successo. C'era inoltre il pericolo dell'arrivo dei rinforzi a favore degli assediati, e di essere presi fra due fuochi, da una parte il castello, dall'altra i soldati giunti in soccorso.

Gli assedi erano quindi sempre molto incerti. Più certa era la fine degli sconfitti: i fanti catturati venivano uccisi, mentre i cavalieri erano di solito più fortunati: potevano essere tenuti in ostaggio e liberati al pagamento di un riscatto.

I castelli nella storia

Nel corso degli anni la struttura dei castelli subì profonde modifiche: torri di legno circondate da palizzate e semplici fossi, lasciarono il posto a massicci castelli di pietra attorniati da mura e fossati pieni d'acqua. I castelli divennero poi simili a palazzi, più adatti ad una vita comoda che non alla protezione e al controllo del territorio.

Tratto e rielaborato da Philip Steele, Il grande libro dei castelli, ed. Vallardi, 1997.






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Occhio per occhio....e il mondo diventa cieco (Gandhi)
09/08/2007 11:52
 
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FEDERICO II ( verità o fantasia?)

MORIRAI SUB FLORE






Come ogni rampollo di famiglia imperiale, Federico II nacque accompagnato da oracoli d’ogni genere.

Alcuni indovini si limitarono a generiche frasi bene o male auguranti a seconda delle esigenze che intendevano soddisfare; altri si spinsero a formulare previsioni più precise, rischiando di dover subire clamorose smentite dalla realtà.

L’oracolo forse più noto, che più d’altri ha impressionato i contemporanei e fatto dibattere gli storici qualificati è indubbiamente quello secondo cui egli sarebbe morto "sub flore".

Figura del sovrano svevo, da un affresco di Palazzo Finco, Bassano del Grappa.

I dotti ed il popolo medievale avevano di che soddisfare la loro fantasia: l’Imperatore avrebbe forse concluso i suoi giorni presso una famiglia, una confraternita, una chiesa, una località, il cui nome evocava il nome di un fiore?

I moderni studiosi sono rivolti ad un’altra indagine: chi fu ad emettere una simile profezia? Fu veramente tale, o si trattò di una delle tante ricostruzioni post mortem, considerato che effettivamente lo Svevo terminò i suoi giorni in Capitanata nel Castello di Fiorentino?

Le cronache disponibili hanno fatto da tempo propendere per un’ipotesi di maggior rigore storico. Heinrich Grundmann dell'Università di Münster, che ha studiato l’argomento, ha concluso che l’imperatore era cosciente del presagio, tant’è che "…non è mai venuto a Firenze pensando che questa sarebbe stata la città della sua morte…". Dal canto suo Patrice Beck, che ha svolto ricerche in Capitanata, ha potuto affermare che "Federico II non sostò mai [nel palazzo di Fiorentino] prima che la morte lo colpisse lì per caso".

Nel Basso Medio Evo simili circostanze dovevano essere tutt’altro che rare. Gli indovini erano diffusissimi ed ascoltati almeno quanto oggi, nell’era che parrebbe essere pragmatica e razionale; le loro parole riuscivano spesso a condizionare la vita privata, mentre a noi sono giunti solo gli episodi più clamorosi, perché riferiti ai grandi personaggi della storia.

Lo prova la situazione in cui venne a trovarsi Ezzelino da Romano, tra i condottieri maggiormente vicini a Federico II. Coetaneo dello Svevo, il satrapo veneto soffriva, come lui, le conseguenze di un perfido vaticinio. La madre, reputandosi una strega o forse una veggente, gli aveva predetto che la sua fortuna si sarebbe fermata in Auxanum. Una morte prematura? In ogni caso un angosciante rompicapo che gli impediva di approssimarsi alla vicina Bassano Veneto; anche se, dato il nome della località piuttosto sibillino, evitava accuratamente Assano, Ozzano, Cassano, Fossano... limitando maledettamente la propria mobilità e, di conseguenza, le proprie imprese militari. Finché la morte, avvenuta per un fatto d’armi a Cassano, nei pressi del ponte sull’Adda, svelò l’arcano contenuto nell’enigmatico nome di Auxanum e consentì che si verificasse la maledetta profezia.


Altrettanto interessante la ricerca di chi può aver lanciato la profezia. Alcuni storici l’hanno attribuita a Gioacchino da Fiore, ma sempre secondo il Grundmann "…nulla di simile si trova nei suoi scritti autentici". Altri hanno scomodato veggenti di scarsa importanza storica – c’è chi ha parlato di un monaco, di un romito, di una girovaga... - senza risparmiare Michele Scoto, matematico e filosofo ma anche astrologo, dibattuto fra alchimia e scienza nascente. Evidentemente siamo ancora lungi dall’essere su una strada quanto meno accettabile!

Vero è che questa divinazione deve comunque essere stata concepita da qualcuno; o semplicemente dalla fantasia popolare, sempre pronta ad esprimersi a modo suo attorno ai casi più interessanti della vita. Se così fosse, viene spontaneo chiedersi: allora, perché?

E’ noto che molti racconti medievali hanno una elevata componente simbolica: ed forse è lì che si dovrebbe iniziare la ricerca.

Fra le tante ipotesi, si potrebbe pensare ad una leggenda creata per attribuire all’Imperatore una dimensione umana diversa da quella del condottiero invincibile e onnipotente che nemici e piaggiatori, con opposti interessi, gli cucivano addosso. Anche lui, come tutti gli uomini, doveva essere costretto temere la morte; anzi, la morte doveva essere una parte integrante della sua stessa impareggiabile vita, ricca di tante glorie e soddisfazioni! Ricordiamo che, proprio in quegli anni, si diffondeva un’antica allegoria successivamente nota come “la danza macabra”. Con impareggiabile perfidia, essa illustrava uomini di ogni condizione sociale – papi, re, studiosi, professionisti, popolani... - avviati verso il proprio desino terreno accompagnati da orribili scheletri che rappresentano la morte.

Accogliendo l’ipotesi, a noi piace cullare questo nuovo mito riferito a Federico II; e vedere in lui, fra gli aspetti più affidabili ed importanti della sua poliedrica personalità, un uomo che visse mezzo secolo ritenendo di conoscere il proprio infausto destino, senza poter fare assolutamente nulla per poterlo evitare: una bella maledizione!

Copyright ©2005 Carlo Fornari
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