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LE LIRICHE DEL FIGLIO ENZO




Re Enzo catturato dai bolognesi (miniatura del Codice Chigi)


Enzo, figlio prediletto di Federico, è il più attivo e fervido tra i poeti della famiglia imperiale. L’amarezza per le tragiche vicissitudini che lo vedono protagonista trova libero sfogo nelle sue romanze, pervase di un’originale linfa poetica, priva di artifici e convenzioni.

Le composizioni risalgono al periodo nel quale è prigioniero dei Bolognesi dopo la sconfitta di Fossalta del 1249, mentre incanta prima i suoi carcerieri poi la nobiltà cittadina con la letizia e la freschezza della sua gioventù.

Ciò che resta delle sue romanze, gelosamente custodite in un quaderno menzionato nel suo testamento, sono solo pochi versi. In "Amor si fa sovente", probabilmente una delle prime liriche, esprime ancora un bagliore di gioia e vitalità; in "S’eo trovasse pietanza", da cui sono tratti i versi seguenti, troviamo solo la cupa disperazione di un uomo senza speranza:


S'eo trovasse pietanza

Ecco pena dogliosa
che nel cor mi abbonda,
e sparge per li membri
sì che a ciascun ne vien soverchia parte;
Non ho giorno di posa
come nel mare l’onda.
Core, che non ti smembri?
Esci di pena e dal corpo ti parte.



Amor mi fa sovente

Amor mi fa sovente
lo meo core pensare,
dàmi pene e sospiri;
e son forte temente,
per lungo adimorare,
ciò che por[r]ia aveniri.
Non c'agia dubitanza
de la dolze speranza
che 'nver di me fallanza ne facesse,
ma tenemi 'n dottanza
la lunga adimoranza
di ciò c'adivenire ne potesse.
Però nd'agio paura
e penso tuttavia
a lo suo gran valore;
se troppo è mia dimura,
eo viver non por[r]ia;
così mi stringe Amore
ed àmi così priso,
n tal guisa conquiso,
che 'n altra parte non ò pensamento;
e tuttora m'è aviso
di veder lo bel viso,
e tegnolomi in gran confortamento.
Conforto e non ò bene:
tant'è lo meo pensare,
ch'io gioi non posso avire.
Speranza mi mantene
e fami confortare,
chè spero tosto gire
là 'v'è la più avenente,
l'amorosa piacente,
quella che m'ave e tene in sua bailìa.
Non falserai' neiente
per altra al meo vivente,
ma tuttor la terrò per donna mia.
Ancora ch'io dimore
lungo tempo e non via
la sua chiarita spera,
[d]e lo su gran valore
spesso mi [so]venia,
ch'i' penso ogne manera
che lei deggia piacere;
e sono al suo volere
istato e serò senza fallanza.
Ben voi' fare a savere
ch'amare e non vedere
si mette fin amore in obbrianza.
Va, canzonetta mia,
e saluta Messere,
dilli lo mal ch'i' aggio:
quelli che m'à 'n bailìa
sì distretto mi tene,
ch'eo viver non por[r]aggio
salutami Toscana,
quella ched è sovrana,
in cui regna tutta cortesia;
e vanne in Pugla piana,
la magna Capitana,
là dov'è lo mio core nott'e dia.


[Modificato da silvanapat 09/08/2007 20:10]
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Occhio per occhio....e il mondo diventa cieco (Gandhi)